Com’è triste la città, com’è spenta… senza la gente che discute, che ragiona, che propone…
Se qualcuno del secolo scorso tornasse in vita, si meraviglierebbe dell’ipertrofia di voci e parole… Una “babele” che non gli permette, però, di vedere, di capire quanto avviene.
Nella pandemia vi è stata riduzione della partecipazione pubblica, isolamento forzato, congelamento delle relazioni interpersonali. Un’anomalia democratica, per alcuni. Ma per quelli impegnati nel governo delle città e nei partiti non c’erano aspetti negativi, anzi, le riunioni online, la rarefazione del dibattito, alcune verifiche e scadenze rinviate, risultavano persino positive.
La crisi del dibattito pubblico non è dovuta alla pandemia. La crisi viene da lontano e coincide con un profondo cambiamento sociale e culturale delle nostre città, che ha portato alla scomparsa dell’opinione pubblica, la parola chiave del liberalismo classico. E’ essa infatti che permette l’elaborazione dei punti di vista nella comunità, e cioè la precondizione del processo democratico.
L’opinione pubblica era sì orientata dai partiti, ma vi erano categorie che “alzavano la voce”. Insegnanti, avvocati, medici, ingegneri, sacerdoti… strati di persone non numerose ma autorevoli, animavano i dibattiti, scrivevano sui giornali locali, creavano un minimo di opinione pubblica. Nel secolo scorso anche i centri di 20 – 30 mila abitanti avevano testate settimanali e tanti fogli occasionali. Non c’era silenzio e nessuna paura a contrapporsi. In quel periodo (Anni Settanta e Ottanta) sono avvenute molte cose: Comprensori di comuni, Comunità montane, leggi urbanistiche e ambientali, organi collegiali nelle scuole, emancipazione delle donne… E tutto ciò provocava discussioni e contrapposizioni. Sfogliando i giornali di quegli anni si vede ciò che avveniva: movimenti, opinioni personali, satira, scontri politici… una rappresentazione teatrale, un libro… suscitava discussioni. Quello che accadeva a scuola si rifletteva nella città.
Con la crisi della politica si “trasforma” il partito, si scheggia e si frammenta il potere. I partiti non più comunità di valori, ma luoghi di mediazione (quando va bene) di lobbie e interessi. La crisi ha lacerato il tessuto della opinione pubblica. Nei centri medi e piccoli del Sud le élite non sono interessate alla cosa pubblica. Mancano punti di vista originali. “Come è possibile, direte, se sulle reti vi è la moltiplicazione di voci, simultanee, continue?” E’ vero. Ma non costruiscono opinione pubblica. Alimentano polemiche, non confronti. A Manfredonia, per “luminarie” e l’installazione del Titanic, sui giornali online, decine di interventi. Un aggiornamento in tempo reale, una ridda di pareri. Eppure non si riesce a capire che cosa è accaduto e accade. E per gli scavi di Siponto? Almeno una decina di articoli (“Abbiamo un tesoro sotto i nostri piedi“), tutti in concorrenza per dire la stessa discutibile cosa!
La desertificazione dell’opinione pubblica è data anche dalla perdita di omogeneità delle élite; gli ordini professionali non esprimono più una cultura territoriale e non contano più nulla. I percorsi di successo sono perseguiti sulla base di legami e amicizie, basandosi su interessi individuali per la natura, l’arte, il teatro… E’ un aspetto positivo la partecipazione personale a eventi culturali, ma le classi dirigenti locali nel complesso si mostrano meno disponibili di un tempo a condividere e promuovere uno sviluppo culturale come bene pubblico (se non sotto forma di consenso).
La Provincia italiana (in particolare nel Sud) non produce più idee, né dibattito. Si “strausa” la parola pragmatismo (il fare), che non diviene confronto di posizioni, radicato nelle situazioni, condiviso da gruppi e persone. Anzi il confronto pubblico è evitato con cura. A Manfredonia, di fronte a critiche e suggerimenti, si sono seguite due strade: il silenzio, pervicace, continuo (la sede PD chiusa per mesi appartiene alla storia, mentre i dirigenti restavano chiusi in una bolla); oppure l’attacco preventivo a chi interviene o sta per intervenire (anche consiglieri comunali eletti per “vigilare e interrogare”). Sono accusati, prima ancora di parlare, di fare polemiche, di non amare la città. Una doppiezza irritante: sul piano personale disponibilità, cordialità, ma su quello pubblico cala una saracinesca. Un contesto ipocrita, apatico, che rende la città poco attraente per i giovani. Una situazione di torpore nell’intera Provincia. Pesa la perdita dei residenti (meno 100 mila in pochi anni!), la partenza di giovani ed anche le ridotte funzioni amministrative, che comunque alimentavano nei piccoli comuni un vivace neo-municipalismo.