Europei, stranieri a noi stessi. Le lezioni della storia e l’amnesia collettiva
“Endoxa – Prospettive sul presente” (rivista on line bimestrale – Mimesis editrice – a cura dell’Università di Trieste e della Campania), sollecita a riflettere sulle parole del nostro tempo. Il tema dell’ultimo numero è “Stranieri a noi stessi”.
Straniero. Fascino e repulsione, ospitalità e ostilità, accoglienza e diffidenza. Scrive nell’editoriale Ferdinando Menda: Dopo Marx, Nietzsche e Freud, niente viene accettato come verità assoluta. Questi (“maestri del sospetto“) ci hanno fornito strumenti per smascherare il carattere illusorio delle grandi sintesi e narrazioni. Una interpretazione del mondo non indolore, che crea dubbi, apre nuove ricerche. “Non c’è nessun mondo in cui siamo a casa e non c’è alcun soggetto padrone in casa propria”. Proprio l’incertezza, la paura generano anche la reazione, l’arroccamento, l’affermazione del primato dell’io, della nazione, dell’etnia (sovranismo, suprematismo…). Per cui ciò che è estraneo è degradato e rifiutato.
In questo numero vari sono i punti di vista: lo Stato sentito come estraneo, il corpo percepito come estraneo, l’esigenza di stabilire confini, la necessità di radici e ricordi, il riferimento alle opere di Simone Weil e Franz Kafka… Alla fine emerge una convinzione: un mondo senza più traccia di estraneità è aberrante. “A chi nulla di umano risultasse estraneo a costui risulterebbe estraneo l’uomo stesso” (Wandelfels)
Nel mio contributo affronto il tema: Europei, estranei a noi stessi. Ci siamo affacciati al terzo millennio con la presunzione di un’identità europea, oggi ci accorgiamo che essa, se pur c’è, è sempre più inafferrabile. Tra di noi europei emergono diversità (muri che si erigono, stranieri da tenere lontani…), siamo più vecchi e stranieri a noi stessi.
Più volte la storia ci è sfuggita di mano: siamo scivolati nella prima guerra mondiale, non abbiamo fatto in tempo a uscirne, che siamo sprofondati in un’altra più terribile e atroce. Dalla storia si possono ricavare lezioni non univoche. Di fronte all’immane tragedia ci si è interrogati sulla responsabilità degli intellettuali e si ricavò l’idea di un’Unione europea necessaria e possibile, né chimera, né utopia. Priorità era spezzare la catena dell’odio, tentare la riconciliazione. Un cammino faticoso, percorso con buon senso e pragmatismo, luci ed ombre. Un cammino di liberazione, una spinta anticolonialista che ha cambiato il mondo, ma non ha impedito la nascita di nuove dipendenze e imperialismi, né l’Occidente ha frenato l’ambizione di esportare (anche con la forza) i propri valori e la democrazia.
Molti giovani non conoscono la storia del Novecento, la guerra nell’ex Jugoslavia, quanto è successo in Afghanistan, Iraq, Libia… Una sorta di “Alzheimer culturale collettivo”. Una malattia pericolosa. E oggi L’Europa sembra avere varie anime, la nostra famiglia allargata non si ama più e nazionalismi più o meno nascosti perseguono interessi diversi. Ci sono tanti Occidenti: paesi baltici e Polonia, Regno Unito e paesi nordici… Si parla di difesa comune ma molti Stati si riarmano autonomamente. La Polonia compra armi (aerei, carri armati…) per 14 miliardi di dollari dalla Corea del Sud, che tra il 2017 e il 2021 aumenta l’export degli armamenti del 177%. (Sole 24 ore). Tutto prima dell’invasione dell’Ucraina.
La guerra in corso ha creato una strana situazione per cui chi alimenta l’escalation è ragionevole, chi è contrario all’invio di armi e vuole la via diplomatica è complice o pericoloso sognatore. Diviene realtà ciò che era temuto dai “fondatori” e da altri leader del Novecento: l’Europa appiattita sulla Nato. Ora la guerra rischia quotidianamente di sfuggire di mano ai suoi protagonisti. Si scommette e si bleffa giorno per giorno. Gromyko, infaticabile negoziatore e longevo ministro degli Esteri dell’URSS (1957 – 1985) soleva dire: “Meglio dieci anni di negoziati che un solo giorno di guerra”.
L’Europa ha cercato di essere diversa. Ha elaborato una cultura di pace e post eroica. Sarà difficile ricostruire un dialogo in Europa di fronte a spinte nazionalistiche di singoli paesi, politiche razziste, disuguaglianze, emergenze climatiche, migrazioni… “Oremus – Preghiamo” è il titolo dell’editoriale di Limes. Solo un Dio potrebbe salvarci e mettere ordine nella Caoslandia, ma forse non è interessato! Prima di gettare la spugna, da laici, potremo interrogarci (come nel 1945) sul ruolo della cultura, sulla mobilitazione dei giovani, sulla possibilità di una spinta dal basso… per rovesciare il tavolo da gioco.