Saman e le altre. L’integrazione difficile e quelle battaglie familiari nascoste.
La scomparsa di Saman Abbas. E’ trascorso un anno e ora c’è il processo (17 maggio). Non c’è traccia del suo corpo. I genitori sono scappati in Pakistan. Uno zio e due cugini in carcere con l’accusa di omicidio.
Una vera e propria battaglia culturale e generazionale dentro la popolazione straniera. Le seconde generazioni cercano di affermare i propri nuovi diritti, ma devono fare i conti con principi e comportamenti che non fanno più parte della loro vita. Molti fatti ci dicono quanto sia difficile e dolorosa l’integrazione, quanto faticoso cercare forme di autonomia (soprattutto le ragazze) in un contesto religioso e familiare di casta o tribale, nel quale si procede a velocità diverse. Le ragazze conoscono bene la lingua italiana, le leggi, vogliono conciliare le loro nuove esigenze con quelle familiari. Non ci riescono. Saman è la punta di un iceberg. “Vogliono vivere all’occidentale!”, si sente dire con una sintesi frettolosa. Non poche sono quelle che denunciano, chiedono aiuto… (Cfr Annalisa Chirico, Prigioniere. Saman e le altre)
Ho incontrato una piccola comunità di stranieri in un gruppo di poderi dell’Ente di Riforma. Vi erano una decina di bambini, ragazze, ragazzi. I più grandi vanno a scuola, il pulmino li porta a Borgo Mezzanone o Tressanti, scuole interculturali. Le ragazze sono spigliate, parlano bene la lingua italiana… Sono indiani sikh. I bambini portano i capelli lunghi, intrecciati sulla nuca, sciolti arrivano fino alle ginocchia. Nessuno ironizza a scuola su questo segno di diversità. Le madri stanno in casa, nei poderi, abiti tradizionali, sono cortesi e felici di scambiare saluti e cibo tradizionale. Mi offrono delle “polpette” di farina e yogourt. Non parlano italiano. Lo capiscono. Seguono i figli e sono attente e curiose. Gli uomini anche per motivi di lavoro parlano un italiano “strumentale”.
Famiglie che con l’adolescenza dei figli devono rivedere molte scelte. Il problema sono soprattutto le ragazze. Dove frequentare le scuole superiori? Una figlia è tornata nel Punjab e lì studia all’università. E l’altra? Forse nel Nord Italia dove hanno i parenti. Intanto in ogni famiglia si discute, ci si confronta quotidianamente sui cambiamenti. Una ragazza vivace, molto brava a scuola non accetta il padre che non parla in casa, non gioca né scherza con i figli.
In una famiglia rumena, una ragazza di quinta elementare parla bene l’italiano, e non vuole leggere o parlare il rumeno. Il padre parla bene l’italiano, la madre si rifiuta. E questo porta a non uscire, forse anche a irrigidirsi… C’è la cultura originaria, E’ giusto che parlino in famiglia la loro lingua, studino e seguano le loro tradizioni, non perdano il contatto con il loro paese… ma qui in Italia i diritti della persona sono inviolabili, le ragazze straniere respirano la parità maschile e femminile, l’autonomia delle scelte affettive, l’’integrità fisica e psicologica.
L’infibulazione: una indagine dell’Università di Milano Bicocca dice che sono 85.000 le donne che hanno subito questa mutilazione. Da 5 a 7 mila sono minorenni. Il richiamo al rispetto della diversità culturale non è accettabile e finisce per essere una forma di razzismo a rovescio. Sembra quasi che non dobbiamo preoccuparci di loro se non quando attentano ai nostri beni e alla nostra sicurezza. E invece i docenti, le forze dell’ordine, il volontariato devono accettare un confronto difficile, evitando ogni forma di superficialità e ogni modalità falsamente tollerante. Molto possono fare gli italiani nei posti di lavoro, nei condomini… Forse fa comodo pensare a quel mondo come a un mondo separato. Le ragazze e i ragazzi stranieri, che nascono e vivono qui, esprimono gli stessi diritti, le stesse esigenze, e devono avere le stesse opportunità degli italiani. E hanno bisogno di sentirselo dire. Non investiamo abbastanza per la mediazione. Non crediamo nella funzione dei centri interculturali e molti li abbiamo lasciati in agonia.