Nonostante la guerra, è tempo di riprendere la lotta contro i cambiamenti climatici.
Negli ultimi due anni la pandemia ha posto in secondo piano l’emergenza climatica. L’appuntamento di Glasgow (inizi Novembre 2021) è rimasto lì. La guerra ha bloccato tutto.
Il pendolo dell’impegno per la difesa del pianeta è stato sempre oscillante, tra fiducia e disperazione, emergenza e programmazione. Ora si sta tornando indietro. La crisi energetica, quella economica, gli eventi bellici, con i risvolti politici, sociali, umanitari, rendono più incerta e difficile la transizione.
Però… Se negli ultimi convegni e incontri ufficiali si affacciava l’invito, rivolto ai “movimenti”, a mettersi un po’ da parte e si prestava poca attenzione ai comportamenti virtuosi nei territori, qualcosa ora potrebbe cambiare. Gli impegni dei governi nel sostenere la transizione a livello planetario sono prioritari e fondamentali, come il contributo della ricerca e della tecnologia (ed infatti le energie alternative offrono risultati più promettenti di quanto si pensava), ma serve altro.
il 4 ottobre nel Vaticano c’è stato l’incontro “scienza, fede: verso COP 26“. Quaranta capi religiosi hanno firmato un appello per cambiare lo sviluppo. Un documento breve. Quattro pagine, 2350 parole. Esemplare per chiarezza, proposte e obiettivi per le singole comunità. Si sottolinea che il degrado dell’ambiente è provocato soprattutto dall’Occidente, e influisce maggiormente sui paesi poveri, incolpevoli. Si afferma la necessità di ripensare il mondo, accrescere la consapevolezza del problema e affrontare le sfide con “le conoscenze della scienza e la saggezza della fede”. Sono ribadite parole significative: interdipendenza, cooperazione, superamento atteggiamenti predatori, con il pensiero rivolto alle generazioni future. Si sottolineano valori antichi: moderazione e temperanza, “un moderno ascetismo”, con esercizi quotidiani per guarire le società occidentali dall’egoismo e dall’eccesso. Accorato l’appello al protagonismo delle comunità territoriali, dei gesti individuali e collettivi. Come a dire che le conversioni individuali, di famiglie, comunità (stili di vita, abitudini alimentari…) sono la premessa agli impegni degli Stati.
Al centro del documento è la sfida educativa. “I governi non possono gestire cambiamenti così ambiziosi da soli, è necessario che famiglie, istituzioni religiose, scuole si impegnino in processi di collaborazione”. E’ ritenuto fondamentale portare avanti la trasformazione pedagogica e culturale e incoraggiare le istituzioni educative a dare priorità a una formazione ecologica integrale, basandosi sulle conoscenze scientifiche.
Tale nuovo rapporto tra scienza e fede ha un valore rivoluzionario. Le conoscenze sono ritenute indispensabili per pensare a nuove soluzioni nelle varie realtà e territori, per costruire forme più efficaci di cura per il mondo. La transizione e trasformazioni sostenibili potranno costare anche sacrifici, ma ci potranno far vivere meglio. Gli obiettivi da raggiungere sono tali, le sfide così radicali che si ritiene importante e costante un dibattito pubblico per rendere le comunità competenti e informate.
A livello educativo, bisogna dare un altro senso ad alcuni eventi da tempo celebrati: la giornata dell’albero, della foresta, dell’acqua, del camminare… E porli dentro progetti che cambino la realtà. Non possono essere più simboli, ma spingere a mutamenti consistenti. Che senso ha piantare un albero se nel frattempo centinaia di pini sono tagliati? E poi il Grest (attività estive parrocchiali), l’educazione all’aperto… Una realtà didattica sempre più praticata in alcuni paesi europei.
A Manfredonia e in tante altre città forse è l’occasione per riflettere sul rapporto tra Centro e periferie. In alcune aree periferiche ci sono pezzi di città disponibili ad avviare processi di cambiamento (condivisione, solidarietà… ), e a lavorare per alleggerire le sofferenze dei luoghi. Forse è l’occasione per cambiare abitudini. Andare a piedi, in bicicletta. Non solo i ragazzi. C’è dibattito sui parcheggi e le strisce blu: la finalità è la riduzione del traffico, rendere sicure le strade, allargare gli spazi dove poter passeggiare e giocare. Si affaccia il problema di ampliare l’isola pedonale nel Centro storico. E se non parlassimo più di isole? Se pensassimo a strade sicure e protette, anche nelle periferie, che conducono in parrocchia, al mercato, a scuola… E’ difficile? Ma la politica non ci sta per questo?