Manfredonia al voto. Domanda per i candidati: “Come aggiustare questa città disordinata?”.

POLITICA LOCALE

Da Milano, nella notte del 7 – 8 marzo del 2020, la folla scappava verso Sud. Lontano dai grandi centri, che significavano condomini, rapporti ravvicinati, contagio. Si scriveva che le città avevano concluso un ciclo. Le strade, le piazze… vuote. Più belle? Raggelanti, comunque, nell’assenza umana. Molte cose si dissero in quel periodo.

La città non è morta, anzi in essa si devono trovare le ragioni e il senso del futuro. Il modello è la città resiliente (una parola passe-partout), flessibile, “adattiva”; nella città c’è il pericolo e la cura. Da dove ripartire? Dalla mobilità e dal lavoro. Smart working o lavoro agile è qualcosa di più e diverso dal telelavoro. Non fare da casa quello che si fa in ufficio. Si tratta di restituire alle persone autonomia (scelta di spazi, orari, strumenti da utilizzare) e chiedere la responsabilità dei risultati. In molte città si lavora in questa direzione.

Una campagna elettorale vivace, “dispersa” in mille rivoli, immagini e proposte valide e importanti. Ma ai candidati va posta una domanda preliminare: “Si può aggiustare questa città “disordinata e dispersa”? La vita urbana consiste nel conciliare famiglia, lavoro, attività ricreative, relazioni tra le persone. E’ difficile legare questi ambiti e ricomporre tante esigenze: come andare al lavoro, a scuola, dove essere curati, divertirsiLa mobilità è il nodo centrale: mezzi pubblici, a piedi, bicicletta, car sharing, treno – tram…

Manfredonia nasce urbanisticamente moderna; si sviluppa nella prima metà del ‘900 intorno alle mura sforzandosi di essere fedele al modello originario. Successivamente la crescita economica e un’idea di “modernizzazione malata” portano a edificare ovunque (cinema all’aperto e cave…) e ad estendersi in modo confuso, intricato, irregolare. I tratti distintivi vengono sconvolti. Ora c’è un vasto “centro”, comprendente la parte antica “dentro le mura” e le tre periferie storiche (Monticchio, Scaloria o Sopra i torrioni, Croce – stazione), e poi intorno tante “isole” residenziali, ognuna con caratteristiche proprie, indecifrabili, se non con la logica dei proprietari dei suoli. Oltre (Borgo Mezzanone a parte) c’è il II piano di zona (chiesa dello Spirito Santo), Siponto, i Comparti, i villaggi del Litorale Sud. Separati da spazi vuoti, disordinati, senza connessione, pulizia, decoro… I costi (cura delle persone e servizi) sono insostenibili, ed è urgente ricucire tante fratture. “Ci vuole un progetto complessivo”, si dice e si pensa al Pnrr. Ma prima e subito occorre aggiustare pezzi, rammendare tratti, dare sicurezza… Coinvolgendo pubblico e privato, immaginando e progettando soluzioni integrali.

La città è malleabile, invita ciascuno a farla propria, adattandola alle proprie esigenze. Ma le città ci modellano, ci offrono opportunità per affrontare le sfide quotidiane, pur con i tanti vincoli di ciascuno (età, genere, salute, cultura, soldi…). A Manfredonia tutta la vita sociale e culturale si svolge nel Centro storico. E’ difficile il rapporto tra centro e periferie. Chi non riesce ad “andare al Centro” (per età o altro) avverte un senso di esclusione e non poche sono le case vendute nel II piano di zona per “depressione”. Una medesima “malattia” sembra prendere i residenti anziani nei Comparti. Le case sono vaste, autonome, ampi gli spazi esterni… ma mancano voci, persone, vicinanze “fastidiose” e necessarie.

Le nuove periferie sono lontane e gli abitanti devono imparare a vivere positivamente e creativamente la distanza, pur reclamando il diritto ad avere le medesime opportunità di tutti i cittadini. Nel passato sono falliti i tentativi di decentrare attività sociali e culturali. Bisogna riprovare. Un problema di strutture? Sono sufficienti le parrocchie? Intanto la grande Casa della Carità nel II piano di zona è vuota!

Ogni città deve affrontare le sfide (globali) della mobilità, dei rifiuti, del consumo di energia. Nella quotidianità della vita urbana si possono trovare soluzioni positive, perché affiora un’altra logica, non quella di amico – nemico, ma quella della cooperazione. Nella città si possono apprendere nuovi comportamenti, stili di vita, come emerso anche nella settimana sociale dei cattolici a Taranto. Nella città (e soprattutto nelle periferie) si possono sperimentare nuove forme di coinvolgimento dei cittadini e pratiche democratiche. Il “coordinamento dei quartieri” elaborato, approvato (e inattuato) alcuni anni fa, era una risposta. Oggi può essere una base di partenza.

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