La folle Cassandra e il canto dei sepolcri. Gli eroi piangono e Diomede non combatte più.
Cassandra la pazza, la principessa sventurata, colei che profetizza sciagure e non è creduta, annuncia che sul campo di battaglia, quando Troia sarà distrutta, giungerà Omero.
Foscolo nei Sepolcri, immagina che Cassandra conduca, nelle tombe degli antichi eroi, i nipoti e i ragazzi troiani ai quali narra che in un tempo futuro un vecchio, povero e cieco, avrebbe sostato in quel luogo sacro, interrogato le urne funerarie, ascoltato la storia di Troia: due volte bruciata e due volte risorta splendidamente per fare più bello il trofeo ai vincitori. Non tutto morirà, dice Foscolo, la morte non ha l’ultima parola, il tempo cancellerà persino i sepolcri, ma rimarrà il canto di Omero ed Ettore avrà la sua immortalità… “finché il sole splenderà sulle sciagure umane“.
Di Omero non sappiamo nulla. Vi è chi dice che non sia mai esistito. Vi erano cantori, “aedi” che andavano di città in città e costruivano un canto epico straordinario. Un lavoro collettivo? Forse c’è stata una voce unica (quella di Omero?) che ha messo ordine in molte rapsodie ineguagliabili. Il risultato è eccezionale. “Tutto si è perfezionato da Omero in poi, ma non la poesia” (Leopardi).
Due donne, due grandi intelligenze del ‘900, Simone Veil e Rachel Bespaloff ne hanno parlato in modo nuovo e originale. Per Rachel Iliade e Bibbia sono due opere di “ispirazione divina” in cui si afferma la vita nella totalità. L’Iliade è per la Grecia e l’Occidente quello che è “Il vecchio testamento” per il popolo ebraico. Omero, un greco, va in giro e canta storie dove non ci sono buoni e cattivi. Solo “uomini in pena, guerrieri in lotta che trionfano e soccombono”. Nell’Iliade “alla eterna cecità della storia, si contrappone la lucidità creatrice del poeta che indica alle generazioni future eroi più divini degli dei, più umani degli uomini” (Rachel Bespaloff). Nessuna opera epica successiva riuscirà in questo miracolo. Né Tolstoi (Guerra e pace), né altri. In tutti c’è sempre il nemico da svilire e condannare.
C’è la guerra e c’è la pietà. Priamo si reca da Achille a riscattare il corpo del figlio. “Abbi pietà di me: ricorda il padre tuo…”. Si intenerisce Achille e trattiene il re troiano per l’intera notte. Fa lavare il corpo di Ettore e lo consegna al padre. Piangono insieme sul destino di morte che li circonda. Achille ripensa alla propria infanzia, alla sua vita breve, al proprio genitore solo. Questa è la lezione: “Gli uomini sono tutti uguali nell’infelicità”. Omero ha voluto che fosse il vincitore a ricordarlo al vinto. Achille concede 11 giorni di tregua perché siano resi gli onori al difensore della propria patria. I lamenti di tre donne: Ecuba, Andromaca, Elena chiudono il poema.
Ricordo, nel salone dell’istituto magistrale a Manfredonia, una conferenza. Un pomeriggio di molti anni fa. Un professore alto e magro illustrava stele funerarie su cui si potevano leggere scene della guerra di Troia, una sorta di Anti Iliade. Ero adolescente e quel racconto non l’ho mai dimenticato. Molti anni dopo ho capito che quel professore era l’archeologo Silvio Ferri e le Stele erano quelle che si trovavano in tanti casolari della Cupola e di Beccarini, usate per coprire il selciato o come panche.
Su questa sponda giungono vinti e vincitori. Enea e Diomede arrivano nello stesso periodo in Italia, reduci della medesima guerra, l’uno sconfitto, l’altro vincitore, ma in patria trovò il letto e il trono occupato. Quando Turno, nel racconto di Virgilio, si prepara alla guerra contro Enea, pensa a Diomede come alleato. Invia un ambasciatore ad Arpi (città da lui fondata, come Siponto e altre nella Daunia), ma Diomede non si lascia convincere. Anzi dissuade popoli e tribù fino ad allora vissuti in pace “a provocare guerre ignote”. Ricorda le “sofferenze indicibili” che dalla guerra hanno ricavato i vincitori. “Non spingetemi a tali battaglie, da parte mia non ci sarà più alcuna guerra con i troiani…”. Questo è Diomede. Presente nei miti e nelle leggende della Daunia, dalle Tremiti (Diomedee) alla costa. Eppure, in tempi recenti a Manfredonia si è proposto di cambiare il nome di “Largo Diomede” con “Maestri d’ascia” o “Lucio Dalla”!