La giustizia rompe le catene della vendetta. Ma questo non vale per la mafia di Capitanata.
Non siamo qui a celebrare trionfi, ma ad affrontare le conseguenze della nostra sconfitta. Non ci può essere giustizia dove c’è abuso, né rieducazione dove c’è sopruso. (Draghi a S. Maria Capua Vetere).
La giustizia e la pena sono i segni della civiltà. Orestea: tre testi intrecciati (Agamennone, Coefore, Eumenidi), un’unica, lucida, impressionante narrazione sulla giustizia. Clitennestra uccide il marito Agamennone, tornato dalla guerra di Troia, che molti anni prima aveva offerto in sacrificio la figlia Ifigenia. Oreste vendica l’assassinio del padre e uccide la madre. Le Erinni perseguono il matricida, e Atena, dea della sapienza, crea l’Areopago, il primo tribunale, con la giuria formata dai migliori cittadini ateniesi. Apollo (che difende Oreste) e le Erinni si sfidano in un contraddittorio veemente nell’Areopago; vince la forza dell’argomentare, la parola. Oreste viene assolto. Lo spirito vendicativo non si sazia, Atena dialoga, spiega e le Erinni a fatica si convincono del bene che potrà venire con l’interruzione della catena delle vendette; si trasformano in benevole (Eumenidi). La nuova giustizia non è “occhio per occhio”. Negli anni Novanta Albie Sachs, avvocato delle vittime apartheid in Sudafrica, perde un braccio e un occhio in un attentato. Ai coloro che dicono di reagire risponde: “Andremo in giro a mozzare braccia?” In ogni civiltà la giustizia sanziona, punisce. Una vendetta gentile. Nella Costituzione italiana le pene non possono essere contrarie al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione.
In questi giorni si rappresenta a L’Aquila il monologo “Clitennestra” di Luciano Violante, ex magistrato e politico. Clitennestra è l’emblema del dolore insanabile per la figlia uccisa. “Nulla può risarcire quel lutto”. Lo spirito vendicativo è distruttivo e Dike, la giustizia, deve temperare la spada con la misericordia, deve cercare un bilanciamento, “perché l’inflessibile rigore nel perseguire il male, non dia inizio a nuove sventure”, dice la ministra Cartabia.
Queste note sulla giustizia ci rinviano a questo territorio garganico, dove la catena delle uccisioni ha rovinato famiglie e generazioni, un territorio dove la vendetta si è espressa con indicibile ferocia, dove scompaiono i corpi… Guidato da un’anziana donna, molti anni fa, ho visto, nei boschi garganici, lapidi nascoste dalla vegetazione, che raccontavano agguati crudeli e minacce future. In molti paesi si può rappresentare Clitennestra e anche Antigone. Paesi dove si sente ancora dire: “Tanto si ammazzano tra loro”.
La giustizia è un luogo fisico, uno spazio condiviso, di attesa, mediazione, dove si deve avvertire la “gravità” sociale e culturale del giudicare. Ho fatto da testimone due volte; in una ero parte lesa per l’aggressione subita in qualità di assessore. Si leggevano gli atti e i verbali velocemente e ho fatto fatica a farmi ascoltare ed esprimere l’interpretazione di parole e gesti dell’aggressore, la cui azione era stata “caricata” con irresponsabilità da persone esterne. Nessuna giustificazione, ma semplicemente allargare lo sguardo. In entrambi i casi si poteva fare a meno del tribunale.
Draghi e la ministra della giustizia hanno parlato a S. Maria di Capua Vetere. Dopo la rivolta (8 – 11 marzo 2020) ci furono spostamenti notturni di migliaia di detenuti da un carcere all’altro. In quei tre giorni morirono 13 detenuti, tutti per aver ingerito metadone e altri farmaci. Tre di queste persone non erano processate. A Capua Vetere si vedono immagini di detenuti, costretti a passare in corridoi stretti, inginocchiati e pestati, le stesse immagini di Genova (Diaz, Bolzaneto). L’Osservatore romano dell’11 marzo scriveva: Sulla situazione carceraria, resa intollerabile dal virus, fanno sentire la loro voce associazioni, cappellani… Nessuno ascolta. “Questo è tempo di giustizialismo, diffuso nelle istituzioni e nella maggioranza dei cittadini. Però il giustizialismo è la negazione della giustizia”
C’è una tradizione culturale in questo paese? L’Italia è la patria di Cesare Beccaria. L’autore del più celebre trattato dell’illuminismo italiano: Dei delitti e delle pene. Pene certe e giuste, rifiuto della tortura, critica dell’oscurità delle leggi, separazione tra reato e peccato. Pubblicato nel 1764. Il nipote, Alessandro Manzoni, dice che quel libricino ha cambiato il modo di pensare la giustizia, e a sua volta scrive “Storia della colonna infame”. Due opere straordinarie che dovrebbero costituire la base della civiltà giuridica di un Paese.