Luglio 2001. A Genova, sospesa la Costituzione e un altro mondo non fu più possibile.
Molti italiani vi sanno dire che cosa facevano il 20 luglio del 2001, quando a Genova le forze dell’ordine agirono con violenza spropositata e premeditazione contro i manifestanti e i “fermati”.
Io mi trovavo nella sede dell’Ufficio Comunicazioni sociali di Manfredonia (FG), quando mi riferirono dei disordini e della morte di Carlo Giuliani. Uno dei miei figli si trovava a Genova. “Tutto a posto”, mi disse al telefono. Non era vero. In quel pomeriggio migliaia di manifestanti fuggivano davanti alle cariche della polizia ed erano convogliati verso la stazione e i treni speciali per riportarli a casa. La più imponente manifestazione di quegli anni (300.000 persone) era stata caricata dalle forze dell’ordine che si trovavano nelle vie perpendicolari alla strada dove passava il grande corteo. Sezionato, diviso, spezzettato. La notte successiva l’incursione alla scuola Diaz, dove dormivano un centinaio di manifestanti anche stranieri. “Macelleria messicana”, disse un vicequestore. Uscirono insanguinati, terrorizzati… tre in prognosi riservata, uno in coma. “Non pulite questo sangue”, la scritta sui muri esterni. Furono devastati il Media center con le attrezzature di molti cronisti e la scuola Pascoli (l’infermeria del social forum). Tutti i “fermati” furono portati nella caserma di Bolzaneto, e lì umiliati, pestati, torturati.
Era finita la guerra fredda, crollato “l’impero del male”, sembrava che un nuovo mondo stesse sorgendo, in un contesto di crescita globale… L’Unione Europea si rafforzava… Si apriva il nuovo millennio, con nuove speranze.
Nel duemila c’era stato il Giubileo. Proprio l’Ufficio Comunicazioni sociali di Manfredonia aveva preparato un opuscolo (Percorsi del giubileo) in cui si esprimeva la necessità che la chiesa uscisse dal silenzio, che la società civile alzasse la voce per difendere il bene comune. Si parlava di cooperazione Nord – Sud, volontariato internazionale, commercio equo e solidale… Quell’anno il premio Re Manfredi ebbe al centro il debito dei paesi poveri e la manifestazione finale in Piazza duomo risuonava di parole nuove.
A Genova i Black bloc (molti gli infiltrati) incappucciati di nero devastarono il centro della città e furono lasciati agire indisturbati; il corteo era pacifico e dentro c’erano le più diverse esperienze: centri sociali, reti cattoliche, organismi giovanili, Lilliput, esperienze di periferia… Tutti insieme, diversi, uniti da una critica al capitalismo. Il movimento era partito due anni prima da Seattle. Allora un prete di Manfredonia disse nell’omelia: “il Vangelo spira su Seattle”. Poi seguirono altri appuntamenti, il forum sociale di Porto Alegre, con la richiesta di nuove forme di democrazia (bilancio partecipato), e lo slogan: Un altro mondo è possibile. Nell’agenda del Social forum di Genova c’erano le disuguaglianze, la difesa ambientale, il potere delle multinazionali, il clima, il rapporto Nord Sud, la cancellazione del debito.
Due mesi dopo l’11 settembre. Il terrorismo. Tutto finì. Il movimento si perse Molti rinunciarono a una impresa collettiva, ritornarono ad agire nel privato. Scomparve la società civile.
Perché accadde? Perché tante menzogne? Capo della polizia era De Gennaro. Presidente del consiglio Berlusconi che si preoccupava che i genovesi non stendessero all’esterno i panni e le mutande. In seguito i successivi capi della polizia, Manganelli e Gabrielli, presero le distanze. Anzi Gabrielli disse: “Io mi sarei dimesso, per il bene della polizia”. I magistrati si trovarono davanti a ostacoli insuperabili. Difficoltà a identificare i responsabili, le catene di comando. La viltà. 400 poliziotti alla Diaz a mezzanotte per massacrare di botte ragazzi che dormivano e che sarebbero partiti il giorno dopo! Furono i poliziotti a portare dentro le bombe molotov per giustificare le violenze. E oggi a S. Maria Capua Vetere la storia si ripete con i carcerati. Agenti certi dell’impunità. Reticenze e omertà.
Nei prossimi giorni ci saranno testimonianze, esperienze teatrali… ma quella lunga onda, quel clima di fiducia e speranza nessuno riuscirà a raccontarlo. Vi erano divisioni, tra i responsabili dell’organizzazione ci furono ambiguità: qualcuno voleva alzare il tiro, dare la spallata al sistema… Ma la forza del movimento era nella sua eterogeneità, nessuna ingenuità ma consapevolezza della necessità di scelte chiare, e anche graduali. La destra applaudì la repressione; le idee di quei giorni non contagiarono la sinistra, contrariamente ad altri Paesi europei… Abbiamo perso 20 anni.