I morti. Si svezzano man mano dalla terra e sono in compagnia delle stelle. E Dio?
“Non possiamo sapere come è Dio. E di tutte le cose che vorremmo sapere, è la sola veramente essenziale”. Ma ascoltando i morti possiamo sapere qualcosa della vita.
Pensavamo di avere scoperto il senso della vita, le cose essenziali, ci si è avventurati in analisi future… Ora restano solo le morti, la paura, la nostra fragilità. Persino i funerali sono stati disertati.
C’è un’opera che dà le vertigini. “Piccola città” di Thornton Wilder (1938). Un dramma straordinario “per l’audacia dell’impostazione formale e per la toccante semplicità dell’espressione” (Szondi). Un direttore di scena guida tutta l’azione drammatica. Si raccontano le vicende quotidiane di una piccola città e di due famiglie: quella del medico Gibbs e del giornalista Web. Tutto è concentrato in pochi anni all’inizio del ‘900. Famiglie normali. Due figli ciascuna, le donne che curano la casa, allevano i figli… “Bisogna amare la vita per conservarla e bisogna conservarla per amarla”. Il secondo atto: il giorno del matrimonio. Il figlio del medico, George, sposa la figlia del giornalista, Emily. Quanti pensieri in quel giorno si affacciano agli sposi, ai genitori, celebrante, invitati… la casa, il carrozzino, la cameretta, le gite, i primi acciacchi, i nipoti… All’inizio del terzo atto Emily muore dando alla luce il suo secondogenito.
“La gente giunge al cimitero affranta, disperata… poi, lo sappiamo tutti come accade… il tempo, le stagioni, le vicende del mondo… e la vita procede. Ora c’è da dire qualcosa che tutti sappiamo, cui pensiamo… qualcosa vi è d’eterno… Non sono le case, la terra, nemmeno le stelle… Ognuno lo sente, è qualcosa che ha a che fare con gli esseri umani… I morti sono legati alle vicende per un po’, poi perdono contatto con le ambizioni, i piaceri, le persone, i dolori… si svezzano. Proprio così si svezzano…”
Emily incontra i morti, quelli che l’avevano preceduta, la suocera, il fratello… è l’unica che conserva calore umano, gli altri sono staccati, Emily racconta alla suocera, la fattoria, i cambiamenti, la macchina nuova… “Ma si può tornare laggiù? Nella vita. Lo sento, lo so”. Si può tornare, ma se ne pentirà e tutti la sconsigliano. Emily, però, è decisa, ritornare per un giorno, un giorno solo. Potrà riviverlo conoscendo il futuro, sapendo tutto quello che sarebbe accaduto. Non riesce a comprendere che sarà un’esperienza dolorosa e imparerà a capire che per i morti vivere significa dimenticare.
Emily rivive un giorno felice, il suo 12 compleanno. Ma la città è diversa da come credeva, le persone non danno valore alle cose che fanno, tutto scorre velocemente… Non ce la fa e grida: “Non abbiamo il tempo per guardarci… non mi accorgevo che era così, accadevano tutte queste cose, e noi vivevamo senza accorgercene…” Ora è pronta a staccarsi, a lasciare la terra. “Riportatemi lassù… Addio a mamma e papà, ai girasoli del giardino, alla colazione e al caffe, al mondo…. La terra è troppo bella perché uno possa rendersene conto. C’è qualcuno che sappia quello che sta vivendo mentre lo vive?” Nessuno, forse i santi, i poeti forse…
Emily si stacca dalla terra. Gli esseri umani ecco dunque come sono: ciechi! Essere vivi è “aggirarsi in una nuvola di ignoranza; andare attorno calpestando i sentimenti di quelli che avete vicino. Sprecare il tempo, buttarlo via come se gli anni fossero milioni… sempre frastornati, in preda a una passione o a un’altra…” Viene la notte, il cimitero è deserto, quasi tutti riposano, le stelle sono apparse dopo la pioggia, i morti le osservano e a loro fanno buona compagnia.
Contrariamente a quanto accade con tsunami e terremoti… quando si grida contro Dio, nella pandemia c’è silenzio. Forse abbiamo compreso che sono le nostre scelte a sviluppare il virus, e sono i nostri comportamenti a diffonderlo. O forse Dio è divenuto insignificante? “Forse Dio è piccolo come un granello di polvere… Forse è grande come il mare, e spumeggia e tuona… Forse Dio è freddo come il vento d’inverno… Forse è noioso, noioso come la pioggia e quel suo paradiso è una noia mortale… C’è anche il caso che Dio abbia fame, e ci toccherà sfamarlo… e ha freddo, trema di febbre sotto una coperta sudicia e dovremo correre in cerca del latte, o telefonare a un medico…” (Natalia Ginzburg)