Il “contagioso catarro delle paludi”e altre epidemie. Non sempre c’entra l’aria “mefitica”.
Con il decreto di Orte (1263) Manfredi fonda ufficialmente la città di Manfredonia: dispone che i suoi sudditi, a causa del luogo poco salubre e l’aria cattiva (propter corruptionem aeris) si spostino da Siponto a un luogo vicino, dove già molti si erano trasferiti.
Siponto, distrutta da Guglielmo il Malo nel 1155 e soggetta ad impaludamento, non riesce a riprendersi ed è definita in tutti i documenti di quel periodo “civitas diruta”. Pur se la fondazione della città (con il suo porto) obbedisce a nuove esigenze strategiche di re Manfredi, è indubbia la cura dei sovrani svevi per la salubrità dell’aria e delle acque.
La paura del contagio e le infezioni dovute all’aria malsana sono molto diffuse nel Medioevo, e persino l’invecchiamento dell’organismo è attribuito all’aria pesante e cattiva. I sovrani svevi sono molto attenti a costruire dimore in ambienti sani, con parchi, giardini e acqua corrente. Federico II fa costruire un grande “vivarium” vicino a Foggia, in cui l’afflusso e il deflusso dell’acqua è regolato da apposite condutture. Gli ospiti raccontano con meraviglia i giochi di acqua e i bagni salutiferi. Nelle Costituzioni di Melfi 1231 è chiaramente definito l’obbligo di preservare la purezza dell’aria, e punizioni severe sono comminate a coloro che inquinano le acque o mettono a macerare lino e canapa a meno di un miglio dalla città.
Manfredonia possiede un territorio vasto, ma poco o niente può essere coltivato per via delle estese paludi. Nonostante la nuova città sia sopraelevata rispetto a Siponto, il problema dell’impaludamento delle zone circostanti permane e le condizioni igieniche e sanitarie restano carenti.
“Nel 1562 avvenne in Napoli e nel Regno mortalità grandissima per lo contagio de’ catarri, cagionata dalla nebbia che ogni giorno per due ore continue nascondea la luce del sole, e in Napoli ne morirono più di ventimila persone. Manfredonia patì più che ogni altra città, per la vicina palude, detta delle Pagliete, dalle paglie grosse, che vi nascono” (Sarnelli). L’ Arcivescovo Bartolomeo della Cueva fece venire da Roma esperti “riparatori”, che costruirono profondi canali, per deviare le acque: si prosciugarono le aree vicine alla città, si ricavarono terre coltivabili, l’aria di Manfredonia divenne più salutifera.
Gli interventi, però, sono sempre parziali. Nel 1791 l’Università Sipontina chiede al re di “dissacquare” le zone del territorio che circondano la città; una richiesta ripetuta più volte.
La scarsa salubrità del luogo è nota e Michelangelo Manicone, il frate naturalista e scienziato di Vico del Gargano, scrive a fine Settecento, che l’aria di Manfredonia è malsana per via delle paludi. Manfredonia appare al frate pulita ed elegante, netta e ben mantenuta, eppure è “mefitica“. Tante sono le paludi: Versentino, lago Salso… E poi i torrenti (Carapelle, Candelaro, Cervaro), senza argini, rendono “inabitabile tutto il territorio”. Manicone sostiene l’insalubrità dell’aria con una serie di dati sulle nascite e le morti; esaminando i libri Parrocchiali, tra il 1786 – 1796, trova un Canonico morto di anni 84, e tre donne di anni 86, 79, 73. Per i miasmi delle paludi la mortalità è elevata, la popolazione non cresce e gli abitanti “han corta vita”.
L’approvvigionamento idrico avveniva attraverso l’acqua piovana in centinaia di cisterne private e in quelle pubbliche. Nel 1811, una relazione, presentata da Serafino Gatta per incarico del governo, giudica l’acqua delle cisterne pubbliche “impura e carica di molte materie eterogenee, di qui hanno la loro origine le febbri intermittenti, le ostruzioni del basso ventre e gli altri morbi che sogliono affliggere i manfredoniani” (Magno). Ricorrenti le epidemie di colera (nel 1836 – 1837 furono vietate le processioni con proteste della cittadinanza). La malaria (con le febbri intermittenti), invece, era sempre presente e non proveniva dai miasmi palustri, ma da un agente infettivo che sarà scoperto a fine Ottocento.