Perché noi italiani siamo così indisciplinati? Perché abbiamo bisogno del pugno di ferro?
Così un amico da Rimini ha esordito nella sua telefonata. Sapevo già la risposta. Anticlericale e comunista, addebita tutto alla Chiesa cattolica e alla rivoluzione mancata (illuminista).
Sono uscito ieri per la mia città (Manfredonia – 56.000 abitanti), verso le vie dei mercati. Noto persone che si spostano sui marciapiedi stretti, camminano con cautela e rispetto. Poi il mercato rionale: frutta, pesce, formaggi… scarpe, biancheria… di tutto… Una signora cerca un borsellino, ne avrà toccati una decina. In maggioranza anziani che in spazi stretti non potevano non toccarsi. Eppure ci sono le condizioni per poter governare bene la situazione!
Vedo un circolo di anziani aperto, un gruppo sta fuori. Penso che, come per altri eventi, le tante associazioni, coordinate dalla protezione civile, potrebbero assicurare vigilanza, distribuire mascherine, invitare a tenere le distanze, ascoltare, raccomandare, raccogliere indicazioni di anziani soli…
Mi telefona un altro amico da Modena. “Beh, pure voi… Ma tu vai in giro senza autorizzazione?”. Gli racconto quanto visto al mercato e come i decreti impongano norme e obblighi, in un circuito comunicativo folle, e che il coinvolgimento del terzo settore, con i suoi limiti, potrebbe essere utile. “Devi sapere, aggiunge, che solo il 30% è informato “bene”, gli anziani e soprattutto giovani oscillano tra panico e noncuranza. Una persuasione mite, orizzontale, personale funziona di più”. Entro in un negozio per prendere il latte, solo quelli alimentari sono frequentati. Hanno mascherine e guanti.
Mi telefona mio figlio, da fuori. Uno dei quattro. Nessuno è tornato e nessuno tornerà purtroppo per Pasqua. Mi racconta di quelli venuti dal Nord e del decreto che ha permesso questo. “Ragazze che arrivate hanno pure organizzato la festa della donna… I giovani… se sono scemi, è giusto chiudere tutto”. “Va bene, ma qui si riuniscono nei garage. Dove si suona, si fuma…”.
Passo davanti alla ex-sede del Piano sociale di zona (ora si vendono prodotti di bellezza). Era anche luogo di formazione, riunione di associazioni, recupero scolastico… Mi sono ricordato di un progetto per la tossicodipendenza. Non incontri nelle scuole con docenti e alunni, secondo lo schema informativo: sostanze e rischi per la salute… No. Il progetto che ricordo era altro: educatori, uditori, animatori di strada. Quattro tra ragazze e ragazzi. Venivano da fuori. Abbigliamento, capelli, piercing… giovani tra giovani. Stavano la sera in piazzetta, in villa… Non fingevano, né portavano verità, seminavano dubbi, parole… Un servizio difficile da valutare. Non so dire altro. O anche un altro progetto, con antropologi (Università di Foggia ) che costruirono mappe partecipate dei luoghi di incontro giovanili nella città. Un libro e quelle esperienze potrebbero essere utili.
Arrivo dal mio edicolante, incontro un paio di amici. Tutti naturalmente a distanza. “Vendo più giornali. Vendo tutto di più. Si sta in casa e i genitori comprano magazine o giochi per i bambini”. Passo davanti a case a pianoterra, alle case popolari, a piccoli appartamenti affollati, dove normalmente c’è conflittualità, e mi chiedo quanto è difficile stare dentro, senza spazi adeguati. E quanto durerà! E penso a quei giovanni che non sono tornati dalle zone rosse, che raccontano quanto è difficile resistere.
Il corona virus richiede misure serie, va bene quanto è stato deciso.“Io resto a casa”, non mi piace. E’ uno slogan pericoloso. “Mi prendo cura” ha più calore, più forza. Leggo ora l’ordinanza di chiusura del mercati rionali. “Nelle more di porre regole di distanza”…. Ci si poteva pensare prima! Quei mercati sono importanti, sono all’aperto e sono frequentati dalle fasce popolari.