Lorenzon il professore, Juliano il commissario. E Pinelli, l’anarchico. Tre esempi anche per oggi.
Come si fa a parlare di “Strage di Stato” o anche solo immaginare che pezzi dello Stato siano stati complici negli attentati, nelle stragi di innocenti? Come si può ascoltare serenamente il presidente Mattarella parlare di infiltrati, depistaggi, funzionari traditori?
E’ utile parlarne a scuola? Questa la domanda di una madre incontrata in una libreria di Manfredonia, turbata per il figlio di scuola media che gli faceva tante domande su quanto visto in televisione. E’ difficile parlarne. A Milano le scuole hanno fatto un progetto per recuperare le storie di quelle persone morte. C’è poi un altro modo per affrontare quegli eventi: presentare chi non è stato in silenzio, ma ha agito, ha parlato…
Guido Lorenzon è professore di francese, amico di Giovanni Ventura, dal quale ascolta spesso frasi inneggianti al fascismo… confidenze, giudizi che lo inquietano. Ma pensa che siano dettati dall’avventatezza, dal carattere impulsivo. Ventura parla di un’organizzazione segreta di cui fa parte, attentati, collegamenti con i servizi segreti. Il giorno dopo le bombe a Milano aggiunge persino che non avevano provocato quanto ci si aspettava. “La prossima volta faremo di più”. Lorenzon assiste con la sua classe al funerale in diretta Tv. Il silenzio, la rabbia trattenuta e consapevole, il dolore danno a quella piazza un senso di forza, unità, compattezza. E’ spaventato, inquieto, ne parla con Ventura, che gli racconta invece con orgoglio l’amicizia con Franco Freda. Capisce che non sono smargiassate. Si rivolge a un avvocato, stende un promemoria, recapitato poi ai magistrati di Treviso, Pietro Calogero e Giancarlo Stiz. Il passo che sta compiendo lo comunica all’amico, che inveisce, minaccia… Seguono querele, ritrattazioni… Lorenzon ha paura. Il 14 febbraio 1970 l’impianto accusatorio è trasferito a Roma. I due sono interrogati. Ventura fa una bella figura, estroverso, giovane con molte idee, Lorenzon è giudicato introverso, disadattato… Ma Calogero e Stiz intuiscono che quel promemoria è una fonte credibile e trova molte conferme. Nel maggio 1971 Stiz incontra il commissario Juliano, che a Padova ha scoperto molte cose. Ed è la svolta.
Pasquale juliano. L’innesto delle indagini di Juliano nella pista nera è risolutivo per le sorti del processo. E’ capo della suadra mobile di Padova. E’ un investigatore preparato ed è laureato in giurisprudenza, quando molti in polizia non avevano il diploma. Riceve segnalazioni di giovani frequentanti la libreria Ezzelino, aperta da Freda a Padova. Raccoglie informazioni fondamentali. Il 12 luglio 1969 arriva un ispettore del Ministero per indagare sul suo comportamento. Dieci giorni dopo viene sospeso e trasferito a Ruvo di Puglia. Per fermarlo non potevano dire che era corrotto, e allora si inventano la figura di un poliziotto senza scrupoli, che, pur di raggiungere il suo scopo, costruisce prove che non esistono. Juliano scopre la cellula eversiva veneta di Ordine Nuovo. Tutta l’inchiesta successiva sulla pista nera è piena di morti misteriose. Un teste a favore di Juliano, un ex carabiniere, cade nella tromba delle scale il giorno prima di testimoniare contro i neo fascisti. Poi altre morti, sospetti incidenti di auto… Per Juliano un calvario giudiziario fino al 1979. Le sue intercettazioni restano in un cassetto. Fino a quando il giudice Stiz non le tira fuori. Come finiscono i due? Lorenzon se ne va all’estero. Juliano resta in polizia fino all’assoluzione piena e poi si dimette. Intervistato molti anni dopo: “Avrei avuto bisogno di un’altra ventina di giorni!“. E forse si sarebbe potuta evitare la bomba di Piazza Fontana.
Giuseppe Pinelli. Muore nella notte tra il 15 e 16 dicembre 1969. “Il mio primo incontro con Pinelli risale ad alcuni anni fa. Sapeva che ero stato il primo obiettore di coscienza cattolico in Italia… i punti fermi della nostra amicizia divennero don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani… Viveva del suo lavoro, povero “come gli uccelli dell’aria”, solido negli affetti, assetato di amicizia, e gli amici li scuoteva con la sua inesauribile carica umana… Anarchico individualista? Si è sempre battuto contro l’individualismo delle coscienze addomesticate: lui ateo, aiutava i cristiani a credere; lui, operaio, aiutava gli intellettuali a pensare. Non ignorava le radici sociali dell’ingiustizia, ma non aveva fiducia nei mutamenti radicali, nelle “rivoluzioni”, che lasciano gli uomini come prima. Paziente, candido, nel suo quotidiano impegno era lontano dagli estremismi alla moda, dalle ideologie che riempiono la testa e lasciano vuoto il cuore. Stavo bene con lui, anche per questo” (Giuseppe Gozzini)