Manfredonia. Il polo tecnologico in crisi. La scuola tecnica è poco amata
Il polo tecnologico è in crisi. Tre istituti insieme: l’industriale (Fermi), il nautico (Rotundi), l’istituto per geometri (Euclide). Insieme non ce la fanno a rimanere autonomi.
E’ una notizia che fa riflettere. Una scuola importante come la scuola tecnica che arranca dovrebbe suscitare il dibattito pubblico. Se chiudesse una piccola fabbrica, se un reparto d’ospedale subisse una minima variazione di funzioni… interrogazioni, articoli con molti commenti, indignazione…
I tre istituti uniti insieme, il nome “polo tecnologico“, sembrava una soluzione positiva. Mettere insieme unitarietà e diversità, condividere strutture, laboratori, competenze. Ora pare che l’unica soluzione sia l’unione con l’istituto alberghiero, in un territorio superiore a 70.000 abitanti. Non so cosa non abbia funzionato, ma ho letto e ascoltato gli interventi negli anni passati di dirigenti e docenti, che hanno cercato di aprire la scuola al territorio, lamentando spesso la marginalità ed esclusione da quelle occasioni di coinvolgimento esterno (presentazione di libri e attività culturali, volontariato, inviti a iniziative cittadine…). Credo non ci sia stato sostegno intorno, né un alone positivo.
Eppure, “il merito del passato successo industriale italiano va agli ingegneri e operai specializzati usciti dagli istituti tecnici” (Prodi). Pesa come un macigno la scarsa cura della scuola tecnica (ora emarginata e frequentata nelle città più grosse prevalentemente dagli immigrati), l’insufficiente livello di preparazione, il rifiuto dell’apprendistato, la svalutazione della scuola-lavoro. Istituti tecnici, cura dei ragazzi Neet (quelli che non vanno a scuola e non esercitano alcuna attività), politiche attive del lavoro sono lo snodo fondamentale per la crescita e per correggere le iniquità economiche e sociali.
Nonostante ci sia in Italia una situazione molto variegata, e in alcune aree si affaccino novità interessanti, la scuola tecnica è ritenuta “inferiore”, per quelli che “non vanno bene a scuola”. Ho “fatto” gli esami di maturità per lo più nei licei, almeno tre o quattro volte negli istituti tecnici. Ebbene ho potuto osservare che la fascia alta è simile in tutte le scuole. Cioè quei cinque sei alunni bravi, capaci di prove positive. La prima prova scritta (il tema) è uguale in tutte le scuole superiori, e mi sono sempre trovato, nelle scuole tecniche, di fronte a compiti ben fatti, costruiti bene, chiari. Per pertinenza e qualità simili agli studenti liceali migliori di Manfredonia, di Arezzo o Foligno o Palermo. La differenza emergeva nella fascia centrale che era buona o discreta nei licei, mentre negli istituti tecnici era sufficiente. Questo derivava da varie cause, dalle condizioni di partenza, dalla convinzione che non avrebbero continuato a studiare, che la scuola che frequentavano non serviva, non era professionalizzante.
Vedo in Tv in questi giorni la fiction “Pezzi unici“. Due mondi in crisi che si incontrano: quello dell’artigianato e giovani inquieti di una casa famiglia che cercano di mettere ordine nella propria esistenza. Ma quello che traspare è il lavoro formativo dell’artigianato, la manualità, l’impegno, la fatica di gesti uguali, ed anche l’immaginazione, il fascino di un oggetto che prende forma, o un utensile (pure una sedia, una scala…) rovinato, scheggiato che si restaura e si aggiusta.
Tutte le scuole sono formative. Tutte le discipline sono importanti. Un tempo il liceo classico era la scuola di formazione delle classi dirigenti. Chi proveniva da famiglie di un certo ceto non poteva non andare al classico, poi seguiva il liceo scientifico. Classi dirigenti vecchio tipo capaci di usare le parole, dibattere, mostrare abilità retoriche. Ed anche, all’occorrenza, fare le citazioni giuste. La cultura come un un orpello. Non è più così da tempo, per fortuna. Le fonti per una buna preparazione sono diverse. Aiutano a pensare la filosofia e un brano di latino, una pagina di diritto e un grafico di economia, la conoscenza dei materiali e le esperienze di laboratorio e di lavoro. Come formative erano le botteghe artigiane di un tempo, insegnavano a fare, a saper osservare, la cura e la precisione, l’umiltà di riprovare ancora.