La violenza contro le donne. Ma tu com’eri vestita?

SOCIALE

“Il primo ragazzo che mi ha baciata / mi teneva giù le spalle / come il manubrio  della / prima bicicletta / che avesse mai montato / avevo cinque anni…  é stato il primo ragazzo / a insegnarmi che il mio corpo serviva / a darlo a chi voleva / farmi sentire qualcosa / di meno di un intero”.

Sono versi di una poetessa indiana, Rupi Kaur. Costruire un rapporto tra persone intere, acconsentire in due. Non è semplice. E noi umani siamo complicati. O meglio, diceva Rita Levi Montalcini, “a livello emotivo siamo ancora all’età della pietra”

Quest’anno la violenza sulle donne è stata affrontata con più sobrietà. Nessuno ha dato i numeri. Un bel po’ di perplessità sorge quando si pretende di misurare l’efficacia degli interventi in un territorio dal numero delle denunce. Denunce che spesso sono ritirate. Sono sempre infinitamente inferiori a quelle piccole, quotidiane violenze che avvengono tutti i giorni. E dubbi sorgono sulla prevenzione quando si riduce agli sportello di ascolto, opuscoli, spot…Tutte cose che servono e sono positive, ma che non aiutano e non prevengono.

Un medico di famiglia, persona molto attenta, mi raccontava come, nelle aree periferiche soprattutto, nelle coppie anziane si presentavano piccoli abusi, asprezze… Soprattutto nel periodo invernale, quando è fastidioso uscire, il Centro è lontano, qualche bicchiere di vino in più… Sono soprattutto le donne a parlarne o meglio a darne qualche accenno. Alcuni anni fa un chirurgo di Manfredonia mi disse che era un po’ preoccupato del fatto che nell’ultimo mese almeno una decina di donne erano ricorse al Pronto Soccorso, per gonfiori, ematomi… giustificati frettolosamente con una caduta, l’urto contro uno spigolo… In questi casi è possibile intervenire in modo discreto, ed è il servizio sociale che ha la possibilità di ascoltare, consigliare, aprire un canale di comunicazione.

Forse di violenza non ce n’è più di prima, ma oggi se ne parla, oggi ne parlano i bambini, le ragazze e i ragazzi. Che fare? Spesso ci si orienta a trovare soluzioni che non servono o vengono dopo… La scuola è il luogo caricato di troppi impegni, è vero. Ma c’è una cosa che la scuola deve fare ed è insegnare a guardare il mondo, a far ragionare, a discutere, a stare insieme maschietti e femminucce fin dalla scuola materna fianco a fianco. Insieme giocare, mangiare, aiutarsi in un universo di parole, gesti, sguardi, dispetti, fastidi. E’ la vicinanza, la normalità degli incontri, i contatti quotidiani, confusi, semplici a cambiare la prospettiva, lo sguardo, la cultura. Sono i momenti informali quelli più importanti. E poi i laboratori teatrali, la lettura, la fiaba, la cura dell’immaginazione. Mettersi nei panni. E se tutto fosse un problema di immaginazione? Aldo Masullo, un filosofo: “È possibile toccare un essere umano, sentire il mio toccare sul suo corpo, ma non è possibile comprendere che cosa sente l’altro quando viene toccato da me”.

Nel marzo di questo anno, all’Università di Foggia, c’era una mostra strana. Com’eri vestita? Una mostra con i vestiti indossati da ragazze stuprate e presentati nei processi di violenza. A una ragazza stuprata e ricoverata in ospedale, un giornalista chiese: ma tu com’eri vestita? Da questa domanda insidiosa e ricorrente è nata la mostra. La si sente ripetere spesso e contiene implicazioni negative. Forse la vittima avrebbe potuto evitare lo stupro se si fosse vestita diversamente? Forse la provocazione del vestito può giustificare un atto violento? Erano abiti semplici, normali. La mostra era accompagnata da piccole storie, in cui l’età, la fiducia nei confronti delle persone che si conoscevano avevano avuto un ruolo importante. Erano pure amici di famiglia che si erano offerti di accompagnarle. Com’eri vestita? Eppure questa è la domanda che gli avvocati difensori fanno più spesso. La difesa è sacra, inviolabile, ma nessun avvocato penserebbe di impostare una difesa per rapina come si imposta un processo per violenza carnale.

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