Povera Sinistra che non conosce più le parole. E se umanità significasse solo “mettersi nei panni”?
Prima quelli di sinistra parlavano, parlavano… Si distinguevano per questo. Avevano sempre le parole giuste.
Parole tratte dai libri o scaturite da un esercizio mentale che portava sempre e solo a criticare e giudicare e non a verificare le cose che si potevano fare. C’era sempre un meglio, un bello che doveva venire. Ora si distinguono per il contrario. Non hanno più le parole.
E’ stato sufficiente sentire il premier Conte pronunciare la parola “umanità”, perché suscitasse un’improvvisa empatia. La parola “umanità” è certo una bella, calda parola. Antica. “Umanità nuova” è il giornale degli anarchici, “L’Umanità” era il quotidiano di un partito politico, “Società Umanitaria” si chiamava quella che venne a Manfredonia da Milano a fine anni sessanta: una biblioteca moderna, tante riviste e poi corsi, cineforum, incontri, ricerche. E ancora “il socialismo dal volto umano” di Dubcek, “l’umanesimo socialista o marxista”, “l’umanesimo integrale”…
“Nuovo umanesimo”, un’espressione contesa. Conte l’ha usata in una dichiarazione ufficiale, poi non più; gli è stato fatto notare che Papa Francesco la usa ripetutamente, anche in questi giorni nell’annunciare l’importante appuntamento del 14 maggio del 2020 per costruire un “patto educativo globale” e sensibilizzare a “un nuovo umanesimo”. Il Papa si muove in un orizzonte di parole dette da Gesù di Nazareth. E pensiamo al discorso delle beatitudini, alle tante parabole…
E se umanità significasse solo mettersi nei panni? Un’arte difficile che fa la differenza nelle relazioni, nel giudizio delle cose della vita, anche nel governo di una città. L’Unione ciechi ha fatto, qualche anno fa, un esperimento. ha organizzato una cena con persone importanti della politica e dello spettacolo, totalmente al buio. Al termine si sono accese le luci, ed è stata una sorpresa vedersi con la faccia sporca di sugo e la camicia o l’abito che portava i segni di quello che era stato consumato. La finalità era far vedere come un atto semplice, il mangiare appunto, poteva essere complicato per chi non vede.
“Mettersi nei panni” non è semplice, significa saper guardare le persone e le cose in modo non abituale e familiare, senza veli o stereotipi, intravedere le opportunità ed anche assumersi la responsabilità di conoscere, riflettere, prendere la parola, dire la verità. Vedere il mondo come è, non come si è abituati a vederlo, tramite gli occhi del senso comune o del coro e della corte intorno.
Mettersi nei panni, quindi, per comprendere, compatire, aiutare.
La parola “Umanesimo” si riferisce all’impetuoso movimento italiano che vede scienziati, filosofi, poeti, artisti, politici, scrittori discutere della nobiltà e della dignità dell’uomo. Dignità che consiste nella pluralità di possibilità insite in ogni essere umano. Pico della Mirandola scrive nel 1486 un’orazione su questo tema. Immagina che Dio nell’atto di creazione si rivolga ad Adamo in questi termini: “… Non ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua… Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché tu libero e sovrano ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti, o rigenerarti, secondo il tuo volere, nelle cose superiori che sono divine”. In ogni uomo, conclude Pico, Dio “ripose semi d’ogni specie e germi d’ogni vita”. Un essere imperfetto, ma proprio questo costituisce la sua grandezza.
La parola da sola non basta. Non dice nulla. Feroci dittature hanno preteso di fondare l’uomo nuovo. Vittorio Arrigoni concludeva ogni lettera, ogni intervento con “Restiamo umani”, ma lui sapeva cosa significa, insegnava ai bambini palestinesi e cercava di aiutarli in un percorso di dignità e di pace. Ed è stato ucciso.