La politica e i simboli religiosi. Tra il Padre Pio di Conte e il rosario di Salvini
Ha cominciato il premier Conte con l’intervista a “Porta a porta”, raccontando il suo rapporto con il frate cappuccino. Era circa un anno fa.
“Padre Pio è andato al Governo?”, la prima domanda di Vespa. “Non esageriamo” risponde il premier, che parla degli insegnamenti ricevuti e mostra al pubblico televisivo l’immaginetta di Padre Pio che porta sempre con se. Salvini visita Pietrelcina (“rendo omaggio a un grande uomo che ho studiato, apprezzo, cui chiedo consiglio”). Subito dopo Di Maio si reca nelle strutture create dal frate, gli Angeli di Padre Pio, Casa Sollievo. Siamo nella primavera di quest’anno, prima delle elezioni europee. I capi del governo sovranista lo ritengono “un modello per i politici e la politica”. Ignorando forse che il patrono del mondo della politica (proclamato tale da Giovanni Paolo II nel 2.000) è Tommaso Moro. Figura centrale dell’Umanesimo europeo e autore di uno dei libri più celebri della storia (Utopia), cancelliere di Enrico VIII, non volle firmare l’atto che poneva il sovrano a capo della Chiesa di Inghilterra. Per questa ragione fu decapitato nel 1535.
La popolarità di Padre Pio? “Non era un sapiente, un filosofo, scienziato, era solo uomo di preghiera, sofferenza, umiltà… vicino alla gente”, ha ripetuto Conte. Per il passato governo un santo del popolo. L’elite ha altri punti di riferimento. I “cattolici del concilio” non lo hanno frequentato. Dalle parrocchie di questa diocesi negli anni Settanta – Ottanta si andava a Spello, Assisi, nei monasteri umbri o toscani, si seguiva la Cattedra dei non credenti… Bose, Taizé… Prodi e gli ulivisti frequentavano le officine bolognesi di Dossetti o gli incontri negli eremi camaldolesi.
Salvini bacia il rosario e invoca il Cuore immacolato di Maria, temi cari e fondamentali per Padre Pio e Giovanni Paolo II. Gesti e parole che lo qualificano come difensore di una tradizione. Per molti irritanti e strumentali (compito del politico è agire e non predicare!)… ma nel mondo i simboli religiosi continuano a pervadere la politica.
Don Sturzo, che aveva fondato il partito popolare nel 1919, trovava discutibile “farsi scudo di una croce”. Il Partito per lui è divisione, mentre il cattolicesimo è universalità. Nella campagna elettorale del 1948, i Comitati civici introdussero “il terrorismo psicologico nella lotta politica”. La Democrazia Cristiana vinse le elezioni, e, con il senno del poi, è stato un bene. Tempi passati? Più recentemente l’immagine di Giovanni Paolo II e della madonna di Czestochowa si trovava in tutte le sedi di Solidarnosc in Polonia. Oggi il termine cristiano e simboli religiosi della tradizione sono utilizzati a livello europeo per definire e delimitare orientamenti identitari, un uso sempre più frequente, evidente, invadente.
La Lega in un anno è diventato il primo partito tra i cattolici. Secondo le analisi sociologiche i praticanti sono in Italia il 17 – 18%. Ma c’è un “sentire cattolico”, un’area molto vasta, che avverte il bisogno di far parte di un orto delimitato: “noi siamo noi” e “siamo diversi dagli altri”. Ci sono fasce di cattolici impauriti dopo anni di laicismo superficiale. Anni in cui si discuteva se a scuola fare il presepe o meno, se tenere il crocifisso nelle aule. In Italia e in Europa molte città hanno la croce nello stemma. La città di Manfredonia ha addirittura il vescovo sul cavallo bianco che attraversa un ponte. Simboli religiosi che appartengono alla cultura profonda delle comunità e al mondo interiore delle persone.
“L’Italia è leghista, non è più cristiana. Il leghista dice prima gli italiani, il cristiano prima gli scartati Non basta baciare in pubblico Gesù, l’ha fatto già Giuda”. Sono parole di Padre Sorge. Ma servono anatemi e condanne? La religiosità popolare è un fenomeno complesso (come pure Padre Pio), che va compreso e avvicinato con rispetto. E non va lasciato a Salvini e ai sovranisti, di oggi e di domani.