Alla ricerca dell’identità nascosta. Il caso Manfredonia.
Manfredonia si trova a un punto di svolta. Una “ricerca” di dieci anni fa potrebbe aiutare a capire qualcosa in più.
L’idea di uno studio per analizzare la comunità sipontina, con la finalità di stimolare il tessuto sociale e la partecipazione dei cittadini, nacque in un dibattito pubblico, intorno all’affermazione che Manfredonia fosse una “città incomprensibile”, con momenti di indolenza, passività, adattamento e poi altri in cui mostrava irrequietezza, vivacità, fermenti creativi.
Nell’ottobre del 2007 il Comune affida al Dipartimento delle Scienze Umane dell’Università di Foggia uno studio antropologico sull’identità socioculturale di Manfredonia. A guidare la ricerca (svolta negli anni 2007 – 2009) l’antropologa Patrizia Resta. I ricercatori, che hanno vissuto lunghi periodi di tempo all’interno della città, condividendo i momenti salienti della vita della comunità, formulano fin dall’inizio definizioni e immagini interessanti: città cerniera, di terra e di mare, ponte tra Gargano e Tavoliere. “La comunità sipontina… sembra essere una comunità instabile, caratterizzata dalla duttilità; presenta elementi identitari propri, ma è profondamente caratterizzata dalla liminalità: non rientra del tutto nell’area del Tavoliere, non è del tutto garganica, è una città di mare, è soggetta a rapidi cambiamenti, è apparentemente accogliente e ospitale rispetto all’esterno, salvo poi accentuare le divisioni tra categorie sociali ed economiche al proprio interno…” (Scionti)
La pubblicazione che ne seguì (Di terra e di mare. Pratiche di appartenenza a Manfredonia) non definisce l’identità con certezza e oggettività, descrive i comportamenti, interpreta le scelte quotidiane degli abitanti, racconta un’esperienza di lavoro. “Non siamo in grado di fornire risposte, non è questo il nostro compito, speriamo solo di aver lavorato al meglio per illuminare da una diversa angolatura gli aspetti di quelle dinamiche in cui si consuma la vita sociale del comune sipontino” (Resta). Nonostante questi limiti, onestamente dichiarati, il libro offre delle analisi e sorprese stimolanti, più evidenti oggi che dieci anni fa.
La ricerca si sofferma, tra l’altro, sul mondo della pesca. Sulla quale circolano idee preconcette che hanno condizionato il rapporto con i pescatori e le loro famiglie: un mondo guardato con diffidenza, come una realtà separata; i pescatori sono ritenuti poco affidabili politicamente e con luoghi di ritrovo quasi esclusivi. La condizione economica, povera fino agli anni cinquanta, è giudicata nella comunità troppo ricca, ed appariscente è lo stile di vita, che contrasta con la permanenza di carenze culturali e di istruzione. I pescatori a loro volta orientano le scelte sulla base di diffidenza e sospetto, e tra loro è diffusa l’opinione di una gestione poco corretta del mercato ittico, delle aste, delle cooperative, con il timore costante di essere derubati del frutto del loro lavoro. Avvertono l’invidia della città per la loro agiatezza economica, ed essi, di contro, invidiano la sicurezza dei lavori di terra.
Queste percezioni sono oggi più sfumate, alcuni luoghi comuni sono anche invecchiati. La ricerca, però, riesce a scoprire interessanti linee interpretative, intorno al fattore O (tre parole che iniziano con questa vocale). Opposizione: relazioni conflittuali tra i diversi settori sociali e quello della marineria, e all’interno dei diversi campi della marineria (grande pesca e piccola pesca; pescatori e commercianti). Osmosi: il mondo della pesca è poroso, aperto a nuovi imprenditori e apprendisti. I figli dei pescatori non necessariamente si legano alla pesca, studiano, svolgono altre attività. Il transito verso altri ambiti più sicuri e stabili è sostanzialmente favorito. Ostentazione: esibizione del benessere raggiunto. Non è status symbol, è semplicemente una gara con il passato, mostrare il riscatto dalla povertà.
Queste linee interpretative (opposizione – osmosi; chiusura – apertura) possono valere per tutta la comunità e aiutano a capire dinamiche interne ancora oggi presenti, i fondamenti valoriali, le forme di aggregazione, le modalità di vivere i cambiamenti. “Manfredonia partecipa alle dinamiche globali in atto, eppure conserva un suo tratto originale”. Anche nei conflitti molto forti lo spazio sociale si mantiene aperto e dinamico, e i sentimenti di convivialità e accoglienza non vengono mai intaccati o rifiutati.