Venerdì santo, la passione di Denis. Bambinate, marachelle, bullismo? La differenza la facevano i padri.
Era il 1965. Un venerdì santo. In un piccolo paese della Padania si recita la passione. Vera. Ci sono le pie donne, il sommo sacerdote, il cireneo, la soldataglia, Pilato. E il Cristo.
Il Pilato di allora è, dopo 50 anni, un famoso ricercatore in America. Un pomeriggio va a prendere il figlio Thomas a scuola, e vede che piange. “Mi hanno picchiato. Erano in cinque”. “E chi?” “I soliti… mi prendono in giro perché zoppico un po“. Il padre rimane sconvolto e si ricorda di un altro calvario, quello che lo vede tra i protagonisti. Spettatore, ma pur sempre in scena. Cristo si chiama Denis, ma lo chiamano Semo (e cioè scemo). Lo stringono prima a una colonna in Chiesa, gli abbassano i pantaloni, gli sputano. Poi si va sulla montagnola. Passano le “pie donne”, vedono, ma non si rendono conto. Semo è legato come Cristo in Croce.
Dopo 50 anni decide di tornare. Ripercorre i luoghi di quel giorno. Incontra i compagni di allora. Tutti ricordano, nessuno vuole parlare, ma tutti sono stati segnati da quella esperienza. Incontra anche Denis (Semo), il balbuziente, bocciato in quinta, ritenuto ritardato. “E invece era il più intelligente di tutti noi“. Era senza genitori e viveva con il fratello più grande. Lo trova nella Casa della carità. “Non parla con nessuno, non collabora“, dicono gli operatori. I due si riconoscono subito. “Denis, so che adesso è tardi, ma mi dispiace…” “Non pensarci… Io ho dimenticato. Dovresti farlo anche tu“.
Anni ’50 – 60. Nelle campagne del Tavoliere la domenica tutti gli assegnatari dei poderi andavano a messa, compresi i comunisti, che erano la maggioranza. Non c’era elettricità e quindi né televisione o radio e la messa era un’occasione per incontrarsi. Pur nelle differenze ideologiche c’erano molti punti in comune, apparteneva a tutti il rispetto della scuola e dei maestri.
In una scuola di campagna era normale acchiappare rane, a volte lucertole e c’era chi le portava in classe. Allora i maestri risiedevano nella scuola. In quel mese di maggio la moglie del maestro si trovava lì. Un giorno raccogliemmo un mazzo di fiori di campo e dentro una rana. A chi darlo? Di solito toccava a una nostra compagna, più grande e grossa, e ripetente. Non c’era l’intenzione… e lo offrimmo alla moglie del maestro. Si commosse, poi la rana saltò fuori, sul petto, lievemente scoperto… Si sentì male.
Il giorno dopo i padri vennero a scuola. Riunirono tutti insieme i ragazzi più grandicelli. Si partì subito con una buona dose di ceffoni, poi uno dei genitori iniziò a parlare, gli altri annuivano. Uno di noi disse che lo volevamo dare alla nostra compagna. Fu peggio. E ancora di più quando seppero che era lei normalmente al centro dei nostri scherzi.
Capimmo in un giorno che si doveva rispetto per quelli più grandi, per i più deboli, per gli ospiti, per le donne in particolare, che vi era una sensibilità diversa tra le persone, dovevamo immaginare le conseguenze di uno scherzo… Un incontro lungo, nonostante l’urgenza del lavoro nei campi. Non ci dissero di chiedere scusa. La nostra mortificazione era evidente, e quando la moglie del maestro partì ci fu pure qualche lacrima.
Oggi si chiama bullismo, un tempo certe azioni si chiamavano diversamente. Un fenomeno che è facile vederlo quando esplode sui social, ma non nella vita quotidiana: le occhiate, le battute sul modo di vestire, i nomignoli, ripetuti, ossessivi. Una volta una madre chiese ai Servizi sociali un contributo economico: doveva acquistare “un abito firmato alla figlia”. Proprio così disse. “Le amiche non vogliono che esca con loro perché veste male“. Bullismo? Qualcuno dice che rinforza il carattere! Ma un mio amico per i nomignoli continui ha lasciato la scuola, e appena ha potuto è andato via da Manfredonia e non è più tornato.
Bisogna ascoltare e leggere le storie per comprenderlo. Un libro, “Bambinate” di Piergiorgio Paterlini, lo racconta bene. Lui, il ricercatore, non lascia solo il figlio, nè lo trasferisce altrove. Inizia una battaglia, senza esclusione di colpi e senza mollare, con la scuola, gli altri genitori….