In pensione, finalmente! Il reddito cittadinanza, finalmente! Scompare il lavoro e la “signora Fatica”.
Finalmente, quota cento. Se sei donna… finalmente! “Chi si è spezzato la schiena con lavori massacranti e ha 62 anni può decidere di andare in pensione”.
Il lavoro è prigione da cui liberarsi quanto prima possibile. Dietro non c’è un ufficio, una fabbrica, una collettività, ma un campo di lavoro forzato, un obbligo insopportabile. E questi posti dai quali si desidera ardentemente fuggire dovrebbero essere occupati dai giovani! Si affianca nella pubblicità il Reddito di Cittadinanza, e il lavoro non è nemmeno nominato. Solo l’’invito a sbrigarsi, a fare in fretta. Sono però ben sottolineati i soldi che si percepiranno. Per cui l’affermazione finale: “una rivoluzione del mondo del lavoro” suona ironica, se non una beffa.
Dagli annunci e dalla pubblicità televisiva (e ancor più da dichiarazioni di esponenti della maggioranza) viene fuori l’assenza del mondo del lavoro, quello che libera e dà dignità. L’assenza della fatica.
Di fatica parla il drammaturgo Stefano Massini con Roberto Bolle. “Mi sei sembrato l’emblema di qualcosa che oggi è del tutto in crisi. Intendo il valore della fatica. Un tempo l’esperienza del lavoro era importante”. “Io e la signora Fatica, che conosco benissimo, ci frequentiamo da anni e anni; ogni giorno faccio i conti con i miei limiti, le mie sconfitte. Questa è la lezione. L’insegnamento del perdere. E da lì ripartire ancora e poi ancora”. Bolle come strumento di lavoro ha il corpo, il suo corpo, e non è semplice rifare lo stesso esercizio per ore, con il corpo che invecchia, cambia, si ammala, ha i suoi tempi. Una fatica che si sopporta perché si ama ciò che si fa e “l’amare il proprio lavoro… costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra” (Primo Levi).
Carlo Cattaneo definisce la pianura padana “un immenso deposito di fatiche”, e questo vale per tutto il territorio nazionale. Un viaggiatore di inizio Novecento, salendo verso Monte S. Angelo e vedendo le “terrazze”, con muri a secco ben curati che “assecondano” la montagna, per trattenere e coltivare un pezzo di terra dove vi è solo qualche albero, disse: “Come si fa ad affermare che questa gente non ha voglia di lavorare?”. Alla fatica pensiamo lungo il vallone di Pulsano, dove vi sono grotte scavate nella roccia, con sistemi semplici e funzionali di raccolta delle acque, spazi per piccoli allevamenti di ovini.
L’Italia è un paese interamente rifatto dalle popolazioni che lo hanno abitato nel corso dei millenni. Lo stato attuale non è un esito naturale, ma è un prodotto storico, il risultato del lavoro dell’uomo che ha incanalato corsi d’acqua, costruito dighe, piantato alberi. Lavoro di generazioni, che nel fare acquisivano competenze e abilità. Noi non abbiamo ereditato solo il paesaggio naturale, ma anche quello modificato dall’uomo. Dietro S. Leonardo, il Castello, la Basilica di Siponto, il Santuario di S. Michele c’è fatica, studio, tecniche di costruzione. Il lavoro di scalpellini (sotto sole e intemperie) e straordinari artigiani. Il territorio di Manfredonia era dominato dalle paludi e dalla malaria. Ed è stato bonificato dalla fatica degli uomini. “Via del mare“, che collega Foggia con la costa, si chiamava un tempo “via della fame“, perché costruita da braccianti e operai che “facevano la fame”.
Che c’entra tutto questo con i recenti provvedimenti del governo? Nel film “Un mondo quasi perfetto”, una piccola comunità vive di pensioni, assegni e “ammortizzatori sociali”. Potrebbero stare tranquilli, e invece c’è noia e insoddisfazione e si inventano una serie di proposte (e di sotterfugi), per rinunciare a quei compensi pur di fare qualcosa, mettere a frutto le proprie energie, costruire una fabbrica. Nel futuro del Sud ci saranno solo pensionati e assistiti?