La Capitanata triste di Antonio Lo Re… oggi ancora più triste.
Antonio Lo Re (1857 – 1920), studioso di questioni agricole e conoscitore dei problemi del Tavoliere, pubblicò “Capitanata triste” nel 1895. In questo piccolo libro riprende quanto detto dai tanti viaggiatori che, dal ‘500 in poi, parlano di una terra infelice, madre generosa per gli altri e matrigna avara per i suoi abitanti. Lo Re descrive “una distesa… arsa dal sole, sitibonda… su la quale si può andare e andare senza trovare un ricovero, un tugurio, una grotta, un sorso d’acqua… ogni cosa avvolta in un silenzio tetro…” Malaria, insalubrità, le migrazioni stagionali e quelle definitive di decine di migliaia di persone all’inizio del nuovo secolo…
Migrazioni simili a quelle di questo inizio di millennio. In 15 anni la Capitanata è l’area geografica nazionale che ha avuto il calo dei residenti più forte, l’aumento più vistoso dell’età media, una diminuzione di oltre il 30% della popolazione con meno di 15 anni, un aumento della popolazione oltre i 65 anni di quasi il 33%. I nati diminuiscono del 30%, i matrimoni altrettanto. In un convegno a Foggia un paio di mesi fa si è parlato di decine di migliaia di persone che lavorano fuori e risultano ancora residenti. L’emigrazione dei giovani laureati è pressoché totale. I mutamenti demografici hanno frammentato il tessuto sociale. Le reti di collegamento che legavano e facevano sentire parti di una comunità si sono consumate.
Ora pare che non ci siano più le parole. Assenti da tempo quelle delle proposte. Esaurite anche quelle del lamento… Come oltre 100 anni fa tutto “è avvolto in un silenzio tetro“. La politica è stata l’unico punto di riferimento nel passato, con leader autorevoli e con partiti da cui dipendevano sindacati e associazioni di categoria… Nella provincia non c’è mai stato un vero tessuto imprenditoriale, assenti i luoghi di elaborazione sociale e culturale. L’Università è venuta solo a fine anni Novanta… Ma è come se non ci fosse.
Insomma la “dipendenza” dalla politica è durata stancamente fino ad oggi, e ora che è senza voce, altri interlocutori non ci sono o stentano a prendere la parola. In Capitanata la “riforma” delle province ha fatto il resto. Si è assistito nei giorni scorsi al “pasticcio”, nell’incontro con il presidente del Consiglio, con sindaci invitati e altri no, all’irresponsabilità della cosiddetta tecnostruttura, che nemmeno procede a un semplice adeguamento tariffario. La città di Foggia che non si sente capoluogo, il fattore M (anfredonia) aleggia inconsistente (ma è sempre temuto). E poi la carenza di organi d’informazione e di una società civile (o meglio di una borghesia civile)… Dopo le elezioni del 4 marzo editoriali, dichiarazioni, un sentire comune… parlavano di mutamenti profondi e radicali e che niente sarebbe stato come prima. Ora, cadute le varie alternative (i civici, 5 stelle, il PD muto…) si continua a puntare sui soliti nomi sparsi…
Un paio di anni fa a Foggia tre fondazioni e altre associazioni iniziarono insieme un percorso di ricerca e di interventi sulle diseguaglianze e le povertà… Solo una partenza e poi tutto si è fermato. E se si iniziasse mettendosi insieme e partendo dal basso? Ci sono istituzioni provinciali che devono riprendere a parlare autonomamente e a riscoprire una vocazione territoriale. I musei, gli organi di informazione, gli ordini professionali, la biblioteca provinciale… l’Università, sembra attiva nel campo della ricerca (alimentazione, archeologia, tutela dei beni culturali), ma è assente nel dibattito sociale, economico, culturale. In diversi paesi ci sono, però, gruppi, parrocchie, iniziative, scuole che cercano di collaborare… Al centro della crisi attuale non è tanto la mancanza di idee quanto l’assenza di luoghi e istituzioni credibili per legittimare e promuovere percorsi di ricerca condivisi. E se si partisse dall’impegno delle singole persone e ci si si comportasse come se la politica non ci fosse? E se questa fosse la maniera per rigenerare anche la politica?