Il ’68. Politica e speranze, amori e ciclostile. La sincerità impastata di teatro.
Domenica scorsa a Foggia, presso il Teatro del Fuoco, ho visto lo spettacolo “E sarà domani”. La storia di persone che, in una stazione, per un ritardo del treno, sono costrette a stare insieme per un po’. All’inizio diffidenza, parole taglienti… poi dialogano, si confessano. Soprattutto Claudio, l’avvocato, chiuso a ogni comprensione per gli altri, in un ruolo duro e ostile, che man mano si apre, si scioglie… e cambia.
Al termine dello spettacolo un amico mi dice che il figlio stava organizzando una discussione – spettacolo sul ’68. Lui gli dava una mano, aveva raccolto articoli, testimonianze, canzoni, il maggio francese, Pasolini. “Avevo dimenticato le contrapposizioni, le illusioni di quegli anni, il linguaggio… Tanti racconti veri, sinceri. Tanti sogni e visioni del mondo… esperienze non concluse, come parti teatrali abbozzate… E pensare che poi in pochi anni le vite di molti hanno avuto svolgimenti differenti, anche tragici! E’ bello che gli studenti, su questo argomento, si confrontino tra loro, provino a discutere per davvero. Senza miti e senza nostalgia. Quella lasciamola agli altri”.
Ho pensato molto a queste parole. Soprattutto alla parola sincerità. La generazione del ’68 si contrappone ai padri (ipocriti borghesi) in nome della sincerità. Mi sono sempre chiesto, però, se non fosse anche questa una maschera, una nuova omologazione, un nuovo conformismo, come diceva Pasolini.
Il racconto più sincero su quella generazione è di Clara Sereni, morta nell’estate di quest’anno. Racconta dieci anni, dal 1968 al 1977. “Via Ripetta 155″ è il titolo di questo suo ultimo libro, scritto a distanza di cinquant’anni. E’ in quella via che va ad abitare dopo aver lasciato la casa dei genitori, ed è là che prova l’ebrezza dell’autonomia, della libertà. “Non mi importava del freddo, della fame. Ero felice. Il futuro era un cantiere aperto. Molte e grandi cose da fare”. Là dormiva chi arrivava, “ci si mischiava, si condivideva“, vi era la sensazione di essere “nel grande fiume della storia”, e che niente potesse andare storto… Poi le delusioni, la solitudine, la testardaggine a stare insieme senza allegria, le famiglie aperte e l’amore, quello vero “che ti torce le budella”, scoprire la gelosia, le paure, le sofferenze di scelte dettate dall’obbligo di stare nel gruppo, di essere anticonformisti. E il tentativo di suicidio. “Non ho mai rimpianto i miei vent’anni, comunque difficili: la nostalgia è sempre soltanto per quel noi, spentosi via via e divenuto isolamento, ognuno per sé e nessun Dio per tutti“.
Clara Sereni prende le distanze da “quel sogno infantile di cambiare il mondo“. Ha un figlio disabile e si impegna nella politica e nella creazione di spazi per le persone disabili. “Per me il mondo cambia con Matteo … Accendere un fiammifero è meglio che incazzarsi con il buio. Radicandosi su quanto esiste qui e oggi si possono mettere insieme le speranze, darsi un respiro, una passione agganciata al domani“. Ma molti rimasero per strada. Come G. R. studente di Monte S. Angelo. Uno dei migliori. Magro, silenzioso, non rideva mai. Dentro, la ferita del padre, partito per la Germania, e non più tornato. Si laureò in ingegneria prima del tempo. Un lavoro importante in un grosso Ente pubblico, in giro per il mondo. Poi si licenziò, tornò, insegnò a Manfredonia. Con i “compagni” mise insieme “una comune”. Improvvisamente si trasferì a Milano. Dopo qualche mese, a meno di trent’anni, si uccide. Un’amica mi disse: “Qui è stato derubato di tutto, anche degli ideali e delle speranze“.
La sincerità va seguita senza fanatismi e senza dimenticare il nostro “cuore di tenebra”. C’è anche un’altra parola: autenticità. Pure questa è impastata di teatro. Bisogna scegliersi bene il ruolo. Con l’accortezza di preservare l’individualità critica e di non vivere solo nelle opinioni altrui; di conservare sempre “un mondo magico in testa” e non aver paura a cambiare ruolo, come Claudio, l’avvocato.