Donne di strada, prete di strada, educatore di strada… E non è la stessa cosa!
In un sito un prete si definisce prete di strada. Ha molti contatti, tanti gli vogliono bene e chiedono di incontrarlo. In un convegno sulla scuola un relatore si presenta come “educatore di strada”, tutti lo ascoltano con attenzione, nessuno si allontana o si distrae. Socrate adesca per strada tutti quelli che incontra e inventa la filosofia. Un tale Gesù per le strade di Galilea racconta le sue strane parabole che lasciano un po’ a bocca aperta e crea la religione dell’amore… Che fatica, tanti anni fa, spiegare in un cineforum il senso dell’espressione “donne di strada” a un gruppo di adolescenti!
Ci sono diverse modalità di passeggiare: o verso una meta prefissata per le tante commissioni connesse al vivere moderno, o fare le camminate sportive, le passeggiate della salute, o vagabondare senza meta, guardare con curiosità in giro, andare a zonzo. Quest’ultima modalità, anche se è necessaria per scaricare la tensione, pensare, distrarre la mente, la donna deve motivarla. Deve legittimare la sua presenza in strada, il fatto che è una passeggiatrice. Dimostrare che non lo fa per esibirsi o per attirare l’attenzione. E allora deve “fare footing” e magari dire che glielo ha consigliato il medico, oppure fare shopping, vagabondare per negozi e centri commerciali, in quelle oasi quasi pubbliche dove essa è una potenziale acquirente. E lì sentirsi finalmente libera di non nascondere il suo sguardo indiscreto e importuno.
“Non riesco a meditare se non camminando. Appena mi fermo non penso più”, dice Rousseau. “Se non potessi camminare veloce e a lungo, potrei esplodere e morire”, scrive Dickens. Allora immaginiamo che cosa sarebbe successo se molte menti maschili, si chiede Rebecca Solnit, non avessero potuto muoversi liberamente? Cosa avrebbero potuto scrivere, raccontare, quali personaggi inventare, se essi non avessero attinto all’esperienza della strada, delle locande, dei porti, dei mercati?
Pochi sanno dell’esistenza di Judith, sorella minore di William Shakespeare, meravigliosamente dotata di immaginazione; possedeva, come il fratello, un’inclinazione per il teatro, la melodia delle parole… Ma non poté uscire di casa, né studiare, né frequentare le scene, né allenare la sua arguzia per strada, o raccogliere materiale per le sue opere nei pub, nelle taverne, tra i marinai, come William, che ogni tanto andava da lei, sposatasi molto giovane, come vollero i suoi genitori, e le faceva leggere pezzi di dialoghi delle sue tragedie. William rimaneva sempre sorpreso per le osservazioni e le correzioni di Judith. E’ una storia un po’ vera e un po’ falsa, raccontata da Virginia Woolf.
Se camminare è un atto culturale, importante per vivere ed essere nel mondo, chi non ha potuto e non può farlo liberamente è privato di uno svago e anche della possibilità di fare esperienza.
Una mia amica mi ha raccontato di aver fatto una passeggiata da sola in un pomeriggio verso il Belvedere a Monte S. Angelo, tutto con tranquillità e lei non si accorse di nulla. Poi il padre venne chiamato dal Sindaco (una persona attenta e premurosa), per sapere se la figlia avesse qualche problema. E’ successo molti anni fa. Più recenti le impressioni di una donna che passeggia sull’arenile di Siponto e sui porti: “la vigilanza continua, l’attenzione, la paura non tanto di una avance… può esserci… non è il problema, quanto il timore che la mia risposta non sarebbe bastata, e allora desiderare in quel momento di essere vecchia e goffa e con abiti sgraziati e ridicoli…”.