Curare le paure (anche quella del morire). Con Halloween è possibile.

CULTURA

“Da cattolico non posso accettare Halloween”. “E’ una moda importata che non ci appartiene”. Altri, invece, la trovano una contaminazione divertente e interessante. La festa di Halloween che appare in televisione (in Italia e nello stesso Regno Unito) è diversa da quella vissuta nei quartieri e scuole londinesi. Intorno a questa festa c’è un percorso di costruzioni e invenzioni di immagini macabre, addobbi con zucche e folletti, teschi e ragnatele, tutto con materiali poveri… le zucche sono lavorate in casa e in classe… i ragazzi ne parlano, giocano a riprodurre i segni della paura. I bambini sono i protagonisti, ma non solo. Lo scorso anno ho visitato una casa “paurosamente” arredata. Partecipava tutta la famiglia. Anche una vecchia con  flebo e ossigeno si metteva in scena; è morta qualche mese fa. Non ha partecipato quest’anno alla festa, eppure quella famiglia continua a inventarsi scene di paure: coltelli insanguinati, suoni stridenti, grida, dettagli paurosi (teste mozzate, teschi…), una bambina imprigionata e incatenata. Famiglie e adulti eccentrici si incontrano ancora a Londra e non popolano solo i romanzi di Dickens! I bambini sanno che è una finzione, ma appena entrano sono terrorizzati, urlano… Si ha, però, la sensazione di un urlo liberatorio. Usciti fuori ridono e scherzano. Qualcuno potrebbe trovare discutibile tutto questo. Ma in televisione quotidianamente ci sono cadaveri coperti da un telo, scarpe e casco per terra e insanguinati, le ossa ritrovate sotterrate a Roma, storie di devastazioni, i volti dei bambini africani e migranti carichi di fame e terrore… Per alcuni psicologi Halloween fa bene, aiuta a controllare le paure.

Ho ascoltato, qui a Manfredonia, qualche insegnante e qualche sindaco dire che non vanno mai al cimitero. A Londra non potrebbero vivere, né passeggiare, perché i cimiteri si incrociano e si attraversano. “Abney Park” è un parco –  cimitero importante. Un bosco, una flora rigogliosa, con tante specie rare e migliaia di lapidi, piccole cappelle, tombe, che si confondono con la vegetazione, alberi che abbracciano i cippi funerari, li sollevano… Si incontrano lungo gli stretti sentieri giovani che fanno footing, anziani che passeggiano, una donna con una bimba di due o tre anni che gioca a nascondino tra le tombe. Abney è un cimitero che nell’Ottocento ha dato sepoltura ai dissenzienti e alle persone irregolari. Nel parco, in una chiesa sconsacrata, di notte, una settimana fa ho visto uno spettacolo teatrale con brani di Poe e Lovecraft… Su molte tombe non si leggono più nomi e date, eppure alcune continuano ad essere addobbate con i fiori, e qui un gruppo di amici, un paio di anni fa, ha voluto seppellire Eric the Punk, dog walker. A distanza di poche centinaia di metri si incontra un piccolo cimitero, utilizzato dalla fine del Settecento. Lapidi intorno e un mausoleo dove sono sepolte insieme famiglie di tre quattro generazioni. Lì vi è un parco giochi, lì ho visto bambini giocare e lì donne musulmane con il velo e lunghe vesti nere fare footing.

E’ diverso il senso della morte. In un documentario della BBCMy passion for Trees” (La mia passione per gli alberi) l’attrice premio Oscar Judi Dench racconta che nel suo giardino, per ogni persona cara morta, lei pianta un albero. E tra questi alberi si rifugia, si intrattiene, parla…

I cimiteri sono luoghi da frequentare, per ricordare la brevità del tempo, la precarietà delle nostre azioni, come tutto sia destinato a non durare… E come tutto può e deve essere lasciato in eredità. La mortalità: per dare senso alle cose, amare la vita, vivere ogni giorno come fosse il primo e l’ultimo.

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