Bike Sharing. Un fallimento a Manfredonia.

CULTURA

Ora le biciclette sono state portate via dalle piazze S. Maria Regina e Falcone – Borsellino. Per caso, una mattina di un paio di mesi fa, ho visto operai che caricavano velocemente quello che restava: telai spezzati, tronconi, scheletri… su automezzi provenienti da Perugia, Torino e dal Lazio. Forse erano le società cui era stato affidato il servizio di bike sharing dalla Provincia di Foggia e dal Parco del Gargano. Ho chiesto a qualcuno se l’iniziativa fosse fallita solo qui. Mi hanno detto: “Solo qui”. Avevano fretta di andarsene e non avevano voglia di parlare. A Siponto hanno smontato anche la griglia, i supporti… Così non si vede nulla, tutto è stato cancellato.

Un’idea che viene da lontano. Negli anni sessanta gli anarchici olandesi volevano liberare le bici dalla proprietà privata. Ci provarono la prima volta il 28 luglio del 1965. La notte prima distribuirono un volantino: “Il terrore d’asfalto della borghesia motorizzata è durato fin troppo. La bici bianca è il primo mezzo di trasporto comune e gratuito. Non è chiusa con il lucchetto, perché deve essere disponibile per tutti”. In piazza davanti ai giornalisti cominciarono a dipingere tre biciclette di bianco, che furono lasciate per strada, libere, senza lucchetto, incustodite; furono sequestrate dalla polizia, in base a una legge del 1928 per cui tutte le bici dovevano avere il lucchetto. Il gruppo anarchico (Provo) continuò a verniciare altre bici e la polizia continuò a sequestrarle (Economist).

Da allora sono stati fatti vari esperimenti, nonostante gli iniziali fallimenti. A Cambridge le biciclette sparirono in una settimana. Analoghi insuccessi nelle città americane. Poi a Parigi si creò un sistema più facile ed efficiente. Ora sono diffuse in tutte il mondo. In Cina le strade di Pechino sono piene di bici gialle. Non sono pubbliche, ma private, con un lucchetto intelligente. Sono della Ofo una piattaforma bike sharing, nata qualche anno fa nel campus dell’Università di Pechino. Gestisce 10 milioni di biciclette. Quasi altrettante (ma sono arancioni) quelle della concorrente Mobike. Hanno un’app che le sblocca per mezz’ora, il tempo necessario per brevi spostamenti. E si paga uno yuan (12 centesimi di euro). Si possono lasciare ovunque. Altri le prenderanno. Sono ancora poche, però è un segno importante.

La bicicletta è stata un rito di passaggio. Prima dello smartphone per un ragazzo era  la proprietà più preziosa. Il furto è diffuso. Le cifre nel mondo sono sottostimate perché molti non denunciano. Negli Usa si pensa che siano oltre un milione e mezzo. Rubare è facile perché il bottino è anche mezzo di fuga. Si ruba e si scappa.

Il bike sharing è un antidoto al furto, ma soprattutto alla proprietà. E’difficile e faticoso per chi abita al terzo, quarto piano… portarle a mano per le scale. Tra le biciclette portate via da Manfredonia vi erano anche alcune elettriche, e stavano lentamente prendendo piede tra persone anziane. Un esperimento fallito nel silenzio generale, che si somma all’infelice pista ciclabile, di cui comunque si è parlato e se ne parla ancora. Una comunità impara dai suoi fallimenti. E allora… che cosa non ha funzionato? A meno che non vogliamo attribuire tutto a una stranezza o indolenza meridionale. Intanto intorno alle biciclette e al bike sharing c’è in Europa un’economia enorme (decine di miliardi di Euro). L’Italia è il fanalino di coda, e il Sud non esiste.

 

 

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