Reddito di cittadinanza. Quando il Buon Senso si nasconde per paura del senso comune
Il reddito di cittadinanza non è mai stato definito con chiarezza e non potrà essere quella misura universale rivolta a tutti senza distinzione. Da alcune ultime dichiarazioni del ministro Di Maio si ricava che i beneficiari del provvedimento dovranno svolgere lavori e prestazioni per la società. Un beneficio da erogare non sulla base della cittadinanza ma della partecipazione alla vita della comunità (cura domestica per bambini e anziani non autosufficienti, attività di volontariato, percorsi di istruzione e formazione, ricerca di occupazione…). E’ il reddito di partecipazione di cui parla Anthony Atkinson.
Si parla di governo del Buon Senso, che dovrebbe significare la verifica della sostenibilità dell’intervento, la temporalità, la gradualità e soprattutto evitare di ripetere concetti improponibili, come la perdita del beneficio dopo il rifiuto di tre offerte di lavoro, che, comunque, non potranno riguardare distanze superiori a 50 chilometri dalla residenza. Per il Sud si tratta di indicatori che non hanno alcun senso realistico. Governo del Buon senso significa vedere quello che c’è. Ed ora c’è il reddito di inclusione, in Puglia si aggiunge il reddito di dignità, altro c’è in altre regioni.
Il welfare nel passato ha avuto un ruolo importante nel contenere le disuguaglianze: è stato lo strumento principale attraverso il quale le nostre società hanno cercato di garantire un livello minimo di risorse per tutti. Negli ultimi anni vi è stata una riduzione della protezione sociale, proprio mentre i bisogni aumentavano. Nessuna economia avanzata ha abbassato le disuguaglianze riducendo la spesa sociale!
Le criticità del sistema italiano sono note. Sfavorevole per i giovani, per le donne con doppio carico familiare (generazione sandwich), per le famiglie con figli… Le povertà sono complesse, di varia natura, devono essere affrontate con interventi diversificati e all’interno di un sistema, che può e deve essere modificato, ma non può essere cancellato e agire come “se avessimo un foglio bianco su cui scrivere”.
E allora perché non mettere ordine in ciò che c’è? Nella miriade di trasferimenti monetari per i figli, ad esempio. Nella conciliazione dei tempi di lavoro e di cura, affrontata solo sul versante dei trasferimenti monetari e non dei servizi. E se iniziassimo dai bambini? Un beneficio rivolto ai figli è centrale per un qualsiasi programma di riduzione delle diseguaglianze. Un assegno consistente dovrebbe essere una priorità europea e costituire una svolta, specie per le famiglie numerose. E’ questa la povertà più rischiosa. Un intervento che potrebbe subito contribuire ad affrontare l’altro problema grave dell’Occidente: la natalità.
Il Buon Senso è una bella espressione, coniata nell’Illuminismo, richiede coraggio e discernimento, giudizio e assenza di faziosità. Non abolire quello che c’ è e che può funzionare ed evitare inutili duplicazioni. Ho incontrato persone che percepiscono un assegno (in alcuni casi esiguo), ma non sanno cosa sia, né quanto durerà, né se è finalizzato al lavoro. “Nessuno ci dice niente!”, riferiscono. Informare correttamente le persone, coinvolgerle nel percorso di aiuto, ascoltarle è la prima forma di dignità! Il reddito di cittadinanza non è la bacchetta magica, e molto della sua efficacia dipende da un’attenta regia. Non ci sono solo gli Uffici per l’impiego da riformare. Ci sono i Piani sociali di zona. E soprattutto c’è il Servizio sociale professionale comunale, che, purtroppo, nel silenzio generale, è quasi scomparso a Manfredonia.
Ci sono tempi in cui il Buon Senso, dice Manzoni, si tiene nascosto per paura del senso comune, che spadroneggia; è un virus che non ha antidoti, e significa appiattimento sulle opinioni correnti; fa rima con consenso, o meglio paura di perdere consenso.