Politica e calcio, fallimento senza passione. La necessità di scendere e poi (forse) risalire
Giorni fa ho chiesto se il Manfredonia calcio giocava qualche partita amichevole o anche di allenamento durante l’estate. “La squadra è fallita. Si inizia dalla promozione, sono state consegnate le chiavi al Sindaco. Come non lo sai?”. Ho cercato di nascondere il disagio per la mia ignoranza. La notizia mi ha fatto venire in mente il rapporto tra calcio e politica, ed il ruolo avuto anche a Manfredonia dalla squadra di calcio nella vita politica cittadina. Che la squadra di calcio debba iniziare dalla “promozione” rinvia un messaggio ad una politica, che fa fatica a comprendere come sia necessario e opportuno retrocedere per poi, eventualmente, risalire.
Tra politica e calcio c’è un intreccio, e sia l’una che l’altro vivono di passioni pubbliche. Lo sapeva De Gasperi, quando, dopo l’attentato a Togliatti, sperava che Bartali vincesse il Tour de France per spostare la rabbia, il risentimento, le divisioni verso un obiettivo che poteva unire tutti. I partiti di massa offrivano un tempo luoghi, bandiere, colori, slogan, tutti elementi per costruire identità personali e appartenenze. Anche attraverso il calcio si creano identità e differenze. La logica nemico – amico dà senso al tifo. Più della metà dei tifosi odia una squadra almeno quanto ama la propria. “Meglio un figlio gay che interista”, disse giorni fa in un circolo cittadino un tifoso juventino.
La politica in crisi ricorre al calcio: imita i vaffà degli ultrà, in Tv i politici accendono il tifo più che le idee, nei tweet privilegiano le battute, le spavalderie; insomma dividono il pubblico, parlano ai propri fan. Le piazze o sono vuote o sono tante piccole curve Sud. Spesso gli ultrà politici e calcistici si confondono e spargono violenza, purtroppo non solo verbale.
La politica più che appartenenza suscita indifferenza. Gli elettori ora mutano facilmente orientamento e le ultime elezioni hanno fatto registrare un diffuso “tradimento”, invece la metà dei tifosi dichiara che non cambierà mai squadra. La fede calcistica sembra più salda di quella politica, che qualche decennio fa durava una vita intera. Conosco tifosi che, convinti antiberlusconiani, pur con sofferenza, sono rimasti milanisti; come pure gli interisti, nonostante le delusioni. I tifosi iuventini rimasero quando la squadra andò in serie B.
L’elettore è quindi mobile e il tifoso no? Non è proprio così. Anche il calcio perde spettatori. La fedeltà nel calcio è del 40%, una decina di anni fa si avvicinava al 60%.
A Mosca c’è stato uno spettacolo straordinario di tifosi creativi e divertiti. In Italia c’è il vuoto sugli spalti. Il tifo e le animosità sembrano raffreddarsi. Che cosa accade? Il dominio incontrastato in questi anni di una sola squadra? Il Var è una buona scelta, ma forse toglie spazio all’interpretazione e al sospetto? Quello che accade alle squadre di calcio del Foggia, del Bari, del Manfredonia è solo disordine amministrativo? Intorno al calcio c’è un’economia parallela e un sistema di finanziamenti e indebitamenti poco chiaro… E’ difficile riuscire a riaccendere gli animi. Un peso eccessivo anche per Ronaldo.
E’ il tempo delle passioni tristi. Non regge la politica e nemmeno il calcio. Vivere senza passioni e senza bandiere non è bello. La politica può sopravvivere: se vota il 30 – 40% va avanti, anzi sono contenti tutti i partiti. Ma il calcio no. Se non c’è spettacolo, non c’è pubblico. Ed è la fine.