Manfredonia volge le spalle al mare, e ignora (come l’Italia) la storia e la geografia.
Un presidente di commissione agli esami di Stato, proveniente da fuori Provincia, constatò con sorpresa che il palazzo comunale di Manfredonia volge le spalle al mare. Ho pensato spesso a questa “anomalia”. Ora in parte si corre ai ripari con l’apertura verso il mare di una nuova piazza. Resta un rapporto difficile con il mare, nonostante sia stata fondata da Manfredi per la posizione geografica e le potenzialità di un porto che doveva assecondare il disegno di espansione verso l’altra sponda dell’Adriatico e nel Mediterraneo. E in effetti Manfredonia fu dal XIV al XVI secolo un porto rilevante e uno dei più importanti empori di frumento di tutto il Mediterraneo, frequentato da mercanti dalmati, catalani, fiorentini e soprattutto veneziani e genovesi.
Non solo Manfredonia, è tutta l’Italia che volge le spalle al mare. Per governare bisogna conoscere il passato e immaginare il futuro. La geografia, una disciplina trascurata a scuola, ci dice quello che l’Italia potrebbe essere, che fu nel passato e non lo è più. La geografia ci parla della centralità della penisola in un mare chiamato Mare nostrum dai romani, Mar bianco dai turchi, Mar grande dagli ebrei, Mare romano dagli arabi (Limes).
Di questo mare chiuso l’Italia è il perno. Noi siamo periferia dell’Europa e non raccogliamo la sfida e il vantaggio di questa straordinaria opportunità, che fu colta nel passato, e non solo dai Romani. Con le repubbliche marinare e in particolare con Genova e Venezia si affermarono due straordinari poli di potenza marittima. Venezia aprì attraverso il Mediterraneo orientale le vie dell’Asia, e inventare quelle rotte che la Cina di Xi Jinping promuove oggi con il marchio delle “nuove vie della seta”. Fino agli inizi del Novecento nelle città delle coste del Mediterraneo vi era una rete di italianità sedimentata nei secoli, e italiana era la lingua degli scambi commerciali. A Odessa, città “leggendaria” fondata a fine Settecento da un “avventuriero” napoletano, in russo e italiano erano scritte insegne e indicazioni stradali: lì fu composta “O sole mio”, canzone ispirata da un’alba splendida sul mar Nero e da una nobildonna della città. “Tra fine Ottocento e inizio del Novecento erano quasi un milione gli italiani in diaspora mediterranea tra Marocco e Anatolia” (Limes). Colonie influenti a Istanbul, Alessandria d’Egitto, Orano, Smirne, Salonicco… In queste città fino a metà Ottocento la lingua veicolare era l’italiano. Un primato indiscusso e addirittura i funzionari turchi e arabi discutevano e redigevano i trattati con i funzionari francesi in italiano. Ad Alessandria d’Egitto vi era una colonia di circa 50.000 italiani con scuole e giornali; lì nacquero Ungaretti, Marinetti…
Colonie italiane – levantine, comunità per lo più di origine meridionale, con un’alta percentuale di ebrei, in conseguenza della loro cacciata dal Regno di Napoli alla fine del 1400. Una coda di espulsioni ci fu nel 1534 a Manfredonia: giunsero anonime denunce a carico dei cristiani novelli (ebrei convertiti), accusati di usura e comportamenti irriguardosi nei confronti dei simboli cristiani. Fu uno strano processo politico, un regolamento di conti che portò all’espulsione di molte famiglie che si rifugiarono in gran parte a Salonicco, dove avevano amici e parenti. Salonicco, prima della seconda guerra mondiale, contava oltre 40.000 ebrei e 32 sinagoghe, molte nel nome si richiamavamo all’Italia e all’Apulia.
Dal II dopoguerra vi è solo ignoranza e rimozione. Qualcosa si sta muovendo con la riforma recente del sistema portuale. Ma il Mediterraneo è assente nel dibattito politico e culturale. L’Italia non ha colto “né le opportunità della geografia né le lezioni della storia” (Limes). Ed è soprattutto l’Italia meridionale e la Puglia a guardare verso Nord, per tenersi quanto più è possibile lontano dall’Africa.