La marcia degli studenti della Florida e la crociata dei bambini di Napoli…

CULTURA

Never again. Mai più. Dopo la strage di studenti a Parkland qualcosa si è messo in moto e non pare fermarsi: parte in queste ore (24 marzo) la grande marcia verso la Casa Bianca. Il presidente Trump mostra di avere timori più da questo movimento che non se tutte le televisioni e i giornali si coalizzassero per una massiccia campagna contro di lui. “I politici siedono nelle loro poltrone dorate al congresso, finanziati dalla Nra (Associazione dei fabbricanti di armi), e ci dicono che non c’era niente da fare per evitare tutto questo. Per noi sono stronzate”, ha detto Emma Gonzales dell’ultimo anno di liceo. Un linguaggio diretto, semplice per un obiettivo civile, concreto, e forse saranno i ragazzi a salvarci e a salvare l’America: secondo la rivista Pediatrics le armi da fuoco uccidono negli USA 25 ragazzi sotto i 17 anni la settimana.

In marcia, quindi. Noi in Europa conosciamo la Crociata dei bambini, un avvenimento del 1212 tra storia e leggenda, con 30.000 bambini partiti per liberare il Santo Sepolcro e convinti che il mare, al loro passaggio, dovesse ritirare le sue acque, come per gli Ebrei in fuga dall’Egitto. Così non fu.

Più vera, piccola e drammatica è quella “Crociata dei bambini” raccontata da Brecht. “In Polonia nel Trentanove, una battaglia grande ci fu, fece rovina e deserto, e tra fuoco e macerie i figliuoli i genitori non trovano più. Ma nei paesi dell’Est, una storia strana raccontano, la gente parlava di una crociata di ragazzi. Trottavano sulle strade ragazzi affamati attruppati, volevano fuggire in una terra di pace. Avevano un piccolo capo, che aveva una gran pena in cuore: la strada non la sapeva… Una ragazza di 11 anni aveva per mano un bimbo di 4, due fratelli erano avanti, un musicista, un piccolo ebreo, c’era una scuola e un piccolo maestro (che insegnava solo una parola: p-a-c-e), e tanti altri… e c’era anche un cane. Avevano fede e speranza, ma per quei ragazzi farina ci voleva, non solo bontà. Pareva che andassero a Sud… In Polonia in quel mese di gennaio, un cane per caso fu preso. Un cartello era appeso al suo collo smagrito e c’era scritto: ‘Aiutateci, abbiamo perduto la strada, siamo 55, il cane vi guiderà. Se non potete venire, lasciatelo andar via. Dove noi siamo, lui solo lo sa’. Era una scrittura infantile: la lessero quei contadini. Un anno e mezzo da allora è passato…”.

E se partisse una marcia dei bambini dalla periferia di Napoli, Palermo, Roma, Torino, Brescia, Bari… E man mano si ingrossa, silenziosa… No! Meglio vociante, rumorosa, allegra… Per chiedere cosa? Non lo so. Ma loro sì che lo sanno, e sarebbe qualcosa di vitale, importante. Come gli scugnizzi nelle 4 giornate di Napoli, come i lustrascarpe (Sciuscià), come  Iqbal Masih, o i bambini operai e soldati… e se pure dalle città siriane e curde partissero… E cantassero una filastrocca del futuro: “Che cosa riserva il futuro? / Che cosa c’è dietro quel muro?… E’ corto il nostro sguardo/ noi non vediamo il futuro / ma con passo gagliardo/ noi nel futuro ci andiamo” (adattato da Tognolini).

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