Il ritardo del Sud. Tra sprechi e clientele è il capitale sociale il grande assente.
La questione meridionale non esiste. O meglio si chiama assistenzialismo secolare. E’ la tesi del direttore generale della Banca d’Italia che ne ha parlato sul quotidiano “Il foglio”. Salvatore Rossi è meridionale e ha ricevuto nei giorni scorsi la laurea honoris causa a Bari, la città dove è nato e ha studiato. Bisogna partire dai dati ufficiali (Servizio Studi Banca d’Italia). La popolazione del Sud è 1/3 di quella italiana. Produce 1/4 del PIL complessivo, 1/5 del settore privato ed esporta solo 1/10. Quasi la metà dei disoccupati e i 2/3 dei poveri risiedono nel Sud. La spesa pubblica è uguale e uniforme nel Paese per i servizi universalistici (in particolare istruzione, sanità e giustizia), rivolti a tutti, indipendentemente dalla ricchezza o povertà dei cittadini medesimi. Per il Settentrione e per il Meridione, quindi, gli stessi servizi. Un ospedale pubblico dovrebbe curare allo stesso modo i milanesi e i bolognesi, i baresi e i foggiani, i ricchi e i poveri. Questo meccanismo però non funziona e i servizi pubblici legati all’istruzione, alla sanità, alla giustizia al Sud sono peggiori. Spesso c’è spreco e corruzione, ed è una condizione che si riflette sul benessere e lo sviluppo complessivo. Se i servizi pubblici fossero migliori, anche le imprese insediate nel Sud sarebbero migliori e tutti ne beneficerebbero. Nei tre settori si segnalano punteggi nettamente inferiori rispetto al resto del Paese. Tralascio le considerazioni sull’istruzione su cui occorre fare un discorso a parte, riporto solo due dati. Parti cesari: al sud sono il 27%, nel resto d’Italia il 19%; durata media dei procedimenti giudiziari (4 anni al Sud e 2 anni e mezzo nel resto del Paese). Eppure il numero degli insegnanti, dei medici, dei magistrati nel Sud è superiore al resto del Paese: 10 docenti per 1000 alunni (sono 9 nel Settentrione); 22 medici ogni 10.000 abitanti, sono 20 nel Nord; 51 giudici e 310 operatori amministrativi per un milione di abitanti, rispetto ai 36 e 180 del Nord. Sono dati che sorprendono e sconcertano.
Come si giustificano, allora, servizi poco efficienti e risultati poco lusinghieri? La differenza sta, secondo Rossi, nel capitale sociale. Quel “non so che” derivante dal senso civico, dalla fiducia, dalla partecipazione alla vita comunitaria. E’ difficile da spiegare quando c’è, più facile è vederne gli effetti quando manca. Basta l’esperienza quotidiana in una città del Sud per capire di cosa parliamo. Il capitale sociale è meno presente nel Sud che nel Nord. Però si può costruire. Anche nel Sud vi sono aree più vivaci dove sono presenti buone imprese e buone amministrazioni. Il Capitale sociale non è dettato dal numero di associazioni, anzi a volte la proliferazione non è un buon segno.
I servizi universalistici sono fondamentali. E’ quel minimo comune denominatore di una comunità. La qualità dipende da chi li eroga e dai cittadini utenti. Se la qualità migliora (in termini di regole, rispetto, assenza di favori e clientele…), anche l’ambiente civico migliora. E viceversa.
Ci sono misure per correggere l’andamento?. Si può intervenire in modo diverso in aree diverse del Paese? Ci sono incentivi possibili? Bonus, premi di produttività, carriere, permessi… Ci sono disincentivi applicabili? Decurtazioni, controlli, sospensioni… i primi fanno aumentare il consenso, i secondi lo fanno perdere. E a misure restrittive quasi tutti sono contrari. Perché? Non si sa mai, potrebbe toccare anche a me. Meglio lasciare tutto così com’è.
Non c’è la ricetta. Ma non esistono altre vie. Un percorso obbligato che bisogna percorrere e velocemente: mettere al centro la lotta all’illegalità, alla corruzione, alle protezioni clientelari.