Dalla Catalogna al Lombardo-Veneto: venti di autonomia. E il Sud sta arroccato e guarda.
In Catalogna andrà come andrà. Nel Lombardo-Veneto si vota un referendum consultivo per chiedere allo Stato ulteriori forme di autonomia. In Scozia dopo la Brexit si freme per l’indipendenza, in Belgio c’è separazione tra Fiamminghi e Valloni. Sembra un ritorno ai piccoli stati, e in Europa sono attive 40-50 formazioni più o meno separatiste. Ci sono comunità omogenee e riconosciute (Catalogna e Scozia), ma anche altre regioni che nel passato avevano un’identità: Savoia, Baviera, Cornovaglia, Alsazia… Molte forze autonomiste sono euroscettiche e xenofobe. Quelle più attive e che chiedono apertamente autonomia o indipendenza sono collocate nei territori più ricchi.
Negli ultimi trent’anni c’è stato un terremoto. Fino agli anni Settanta le economie dei Paesi nazionali erano chiuse, ma legate agli altri mediante accordi commerciali. Quello che accadeva nei singoli Stati erano problemi interni, e il bilancio pubblico interveniva a regolare gli squilibri, con una serie di misure che conciliavano i vari interessi (in Italia: Cassa per il Mezzogiorno a Sud, aiuti alle industrie al Nord…). Con l’integrazione europea i territori sono in una situazione diversa. L’abolizione dei confini per gli uomini e le merci crea opportunità e rischi, solo in parte mediati dagli Stati nazionali. Vi è una competizione tra i territori, tra regioni europee e all’interno di esse. Lo sviluppo dipende sempre più dalla qualità delle singole aree, e per sostenerla ci vogliono investimenti e fondi pubblici (infrastrutture, politiche attive del lavoro, ricerca, innovazione). Per aiuti e investimenti pubblici ci sono regole europee. Per la pista del Gino Lisa a Foggia è necessaria una quota minima di compartecipazione privata. Non ci sono imprenditori locali, ed allora bisogna inventarsi qualche marchingegno che faccia intervenire il “pubblico camuffato” (aeroporto per la Protezione civile di Puglia…). Per le Regioni ricche le risorse ci sarebbero con l’autonomia fiscale o l’indipendenza. Trasferire meno allo Stato; ma così finirebbe il modello della solidarietà nazionale.
Il discorso non è campato in aria: si affacciano nuove vie di traffico, le aree più ricche sono in contatto tra di loro (Catalogna e regioni ricche dell’Europa del Nord, Pianura Padana e le Fiandre…). Servono infrastrutture, trasporti, sinergie, sistemi produttivi finalizzati a nuovi assi produttivi… Ed è crescente il fastidio per risorse che vanno nelle aree meno favorite e che sono sempre lì, non crescono, chiedono sempre, e sono responsabili del loro ritardo. Il malumore è stato intercettato da nuovi “imprenditori politici”, e le coalizioni politiche fanno fatica a stare insieme, con partiti che esprimono giudizi diversi.
Gli Stati nazionali, che hanno assicurato libertà, uguaglianza, fraternità dentro istituzioni liberaldemocratiche, sono in crisi. L’integrazione europea ha promosso nuovi diritti, una nuova identità, opportunità che permettono di resistere alla furia della globalizzazione… però i territori devono cambiare.
Quanto avviene in Catalogna, quanto avviene nel Lombardo-Veneto ci riguarda e può essere l’occasione per riflettere e porsi alcune domande. Perché alcuni territori sono bravi a svilupparsi e altri no? Perché nonostante i fondi europei non cresce al Sud la qualità delle imprese e nemmeno il capitale sociale e il senso civico? Perché quando si parla del Sud è difficile partire da analisi serie, riflessioni pacate e documentate? Perché i luoghi dove discutere (partiti, sindacati…) sono scomparsi e in giro ci sono solo opinioni personali, insofferenti e arroganti? Perché le stanze del potere (più del passato) sono piene di incompetenti, che né sanno e nemmeno hanno voglia di studiare e di conoscere?