Il Gargano muta! Ma “è l’uomo che non è più lo stesso”. Il sogno infranto di Jean Annot.
Annot (1928 – 1990) era belga, ha svolto il servizio civile internazionale e giunse a Firenze in questa veste per restaurare libri e manoscritti danneggiati dall’alluvione. Scese poi verso il Sud e sul Gargano, e decise di fermarsi. Tra Vieste e Monte S. Angelo. Era la primavera del 1968.
Gran camminatore, si spostava a piedi, e non c’è posto del Gargano che non sia osservato e riprodotto nei suoi quadri. Riusciva a trovare la novità nei luoghi più consueti. Dipinse soprattutto acquerelli, tenui, sfumati, a significare un mondo fuggevole, chiedendosi forse fino a quando sarebbero durati quel mondo e quei paesaggi.
Erano gli anni in cui sul Gargano si concentrò l’attenzione del dibattito culturale. Una equipe dell’Università di Bonn e di Padova (guidata da Eisermann e Acquaviva) negli anni sessanta lavorava sui cambiamenti operati dai mezzi di comunicazione di massa nelle comunità garganiche. Una ricerca che non intendeva fotografare la realtà in un tempo determinato, con risultati ben presto obsoleti; Eisermann e Acquaviva idearono una ricerca che dal 1965 si è ripetuta tre volte, mostrando man mano i fattori del mutamento in un territorio che sin dall’Unità d’Italia era povero e isolato. Una inchiesta complessa che interessava 18 comuni: da Manfredonia alle Tremiti, a Vieste, a S. Giovanni Rotondo… e che ha consentito di seguire l’evoluzione della cultura, dei valori, dei comportamenti della gente del Sud nello spazio di 30 anni. Una sorta di lungo laboratorio.
Annot ne aveva sentito parlare, ma lui viveva sulla sua pelle, negli anni Ottanta, i mutamenti. Nei suoi dipinti si avverte quanto fragile fosse per lui l’equilibrio di storia, ambiente, natura. Era una persona mite, parlava poco, ma insistente (e per alcuni irritante) nelle domande. Vale per lui la definizione di “cristiano senza chiesa e socialista senza partito”. Bersaglio polemico erano i cristiani, i comunisti e i giovani a sinistra del PCI, per la loro scarsa coerenza. Erano le persone che amava e con cui interloquiva. Ci fu in lui un progressivo distacco e poi le partenze per i viaggi che duravano mesi in Europa, Medio Oriente, Asia, e più volte in Africa (morì nel Ghana il 19 marzo 1990). Alla ricerca di altre visioni e altri sogni. Viaggiava e dipingeva, e con i quadri si assicurava ospitalità. Si muoveva di villaggio in villaggio. Da quei viaggi portava schizzi e disegni, che trasformava in acquerelli, che finivano per somigliare al “suo” Gargano.
Dopo la morte, alcuni amici di Monte S. Angelo pubblicarono il diario di un viaggio lungo la fascia subsahariana, dal titolo “Una striscia bianca e rosa all’orizzonte”. Partendo da Lisbona nel novembre del 1985 così scrive: “Italia, Italia, sei tu che lascio allegro o triste? Lascio con piacere la vita disordinata e insicura (e ne sono stanco), da una parte, d’altra parte mi sento legato a questa terra che mi affascina ancora. Poi il mio cuore è legato a fedeli amici perché, nonostante tutto, sono il pittore amato della loro terra…”. Non sognava l’antico, non chiedeva l’immobilismo, era convinto che il Gargano dovesse cambiare… “Ma è che l’uomo non è più lo stesso… è chiuso nella sua macchina, congelato davanti allo schermo della TV, assente dalla vita pubblica”.
Nella pittura di Voss, Annot, Lettl c’è la storia di questo territorio e dei cambiamenti avvenuti. Una storia significativa e che pochi territori possono vantare. Molti quadri sono di proprietà pubblica. E’ così azzardato pensare a una mostra permanente o a un museo dei pittori del Novecento che hanno amato, rappresentato, interpretato questa terra?