Le belle parole della politica (e di una breve stagione), che ora forse non servono più.

POLITICA LOCALE

Nel marzo di questo anno è morto Luigi Ferrara Mirenzi. Più di uno si chiederà: Chi era costui? Un uomo discreto, uno studioso di  economia, consulente della conferenza episcopale italiana. L’ho conosciuto all’epoca delle elezioni regionali del 1995. Era candidato alla presidenza della Regione Puglia. L’ho incontrato due – tre volte e ci siamo sentiti per telefono qualche altra volta, in una breve e intensa campagna elettorale. Io ero candidato alla Regione nel listino del maggioritario. Ferrara Mirenzi perse. Fu eletto Antonio di Staso del Polo delle libertà. Quell’anno si sperimentò il maggioritario: due blocchi. La sconfitta lo amareggiò; fu molto contento, però, quando seppe che la provincia di Foggia era l’unica dove la coalizione (Puglia democratica e progressista) aveva vinto con il 52%, superando ampiamente la somma dei voti dei partiti che la sostenevano.

Ferrara Mirenzi sapeva di economia e di molte altre cose. Era della scuola di Einaudi, aveva solide letture, che gli permettevano di conoscere la realtà meridionale e le trasformazioni sociali di quegli anni. Avrebbe condiviso ciò che diceva Friedrich von Hayek (Premio Nobel 1974): “nessuno che sia solo un economista può essere un grande economista” o “un economista, solo un economista, diventa nocivo e può costituire un vero pericolo”.

La Regione fu l’oggetto del suo impegno, perché ci aveva creduto fin dagli inizi e nel programma elettorale del 1995 dedicò largo spazio a una profonda revisione della struttura burocratica e amministrativa di quell’Ente, che da organismo di programmazione e di legislazione nelle materie di competenza si era trasformato in un centro di potere amministrativo e clientelare.

Ne scrivo per ricordare una persona preparata e corretta e perché ho riletto le carte di quella campagna elettorale… Si usciva da tangentopoli e l’Italia non trovava ancora la sua pace. E si entrava nell’esperienza dell’Ulivo.

Si usava già allora il termine antipolitica, e si intendeva la politica dello scontro, della polemica, della rabbia.  Si richiedeva a chi si candidava chiarezza dei programmi, proposte, concretezza, e inoltre la conoscenza del territorio e dei problemi, le competenze, capacità di dialogo…

Si votava per il rilancio della Regione. Si provava la politica alla fine delle ideologie e la mia candidatura nel maggioritario (condivisa da tutti i partiti della coalizione) era all’interno di questo nuovo clima. Bisognava inventarsi parole nuove: trasparenza, impegno, sperimentazione, fiducia, connessioni, riformismo. Si affacciavano le questioni della vivibilità urbana, bilancio sociale, riforma degli apparati burocratici (in particolare dei Comuni), innovazione e occupazione, riforma del welfare.

A Manfredonia ci furono “numeri unici” (Verso l’ulivo, Progetto città, Puglia democratica e progressista). Il metodo di lavoro degli eletti (Comune e Regione) sarebbe stato “un ponte continuo” tra aggregazioni sociali ed economiche e attività di governo. Gli slogan di allora: la Puglia non cresce se non insieme – Conoscenza e solidarietà – Vincono i paesi che cantano in coro – Il centro sinistra riscopre le pari opportunità e la giustizia sociale – Mobilitare le risorse economiche e quelle della intelligenza e della cultura.

Ci fu entusiasmo in tutti gli incontri, una grande partecipazione. Una campagna elettorale durata un paio di settimane soltanto, ma a a Monte S. Angelo, S. Giovanni Rotondo, Manfredonia… incontri sempre affollati e piazze sempre piene. Il comizio finale nel “classico” Largo Stella a Manfredonia gremito come con D’Alema. C’era entusiasmo. In quella campagna elettorale si mise in piedi un percorso che valeva anche per le comunali, che il Centrosinistra vinse a Manfredonia nell’autunno di quello stesso 1995.

Oggi, quelle parole servono ancora? Trasparenza, impegno, fiducia, rispetto, politica come servizio, competenze e conoscenze, apertura ai giovani e alle donne. E ne esistono altre?

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