Dante, Manfredi e una Chiesa senza misericordia.
Biondo era e bello e di gentile aspetto… Dante non lo riconosce. E’ il re svevo a presentarsi: “Io son Manfredi, nipote di Costanza imperadrice”. E racconta gli ultimi istanti di vita: lui scomunicato, morente, si affida alla bontà divina che “ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei”. La battaglia di Benevento era stata violenta e sanguinosa. Un campo sterminato di cadaveri “guasti e mutilati”, e il corpo del re non si trovava. Poi un soldato francese impadronitosi di un cavallo da molti riconosciuto per quello di Manfredi, parlava di un cavaliere che si era lanciato nella mischia con straordinario coraggio. Le sue indicazioni permisero di ritrovarlo dopo due giorni. Quel corpo fu posto nei pressi di un ponte e ogni soldato poneva sopra una pietra. Un sepolcro semplice voluto dai soldati per il re vinto.
Pietà umana e misericordia divina congiunte. Non così per la Chiesa. Arrivò l’ordine del Papa di disseppellirlo e disperderlo.“Se il pastor di Cosenza che alla caccia di me fu messo per Clemente allora, avesse in Dio ben letto questa faccia, le ossa del corpo mio sarebbero ancora lì dove era stato posto… Ora le bagna la pioggia e move il vento, dov’egli le trasmutò a lume spento”. Una Chiesa che non conosce la faccia della misericordia di Dio. Questa l’accusa “tremenda” che Dante fa dire a Manfredi. Chissà se papa Francesco conosce questo canto.
Non ebbero pietà per la famiglia di Manfredi. Elena fu rinchiusa a Nocera e morì sei anni dopo, a ventinove anni. I quattro figli (Beatrice, la primogenita, di sei anni e poi Federico, Enrico, Enzo) separati dalla madre, tenuti nascosti e prigionieri. Nel 1299, dopo 33 anni, comparvero davanti a Carlo II, quasi ciechi, dementi, malati. Da Castel del Monte furono spostati nei sotterranei di Castel dell’Ovo a Napoli.
Ai figli Federico trasmise l’amore per l’arte, la musica, la scienza. “Ai re e ai grandi della terra non basta l’illustre progenie se non si accompagna il nobile essere… Sono come gli altri uomini, muoiono come gli altri, ma solo per saggezza si distinguono dagli altri uomini”. Per Dante furono sovrani grandi e illuminati, Federico e il suo degno figlio Manfredi: “seppero esprimere tutta la nobiltà e dirittura di animo e, finché la fortuna lo permise, vissero da uomini, e non da bruti”
Manfredi studiò nelle Università di Bologna e Parigi, fu a contatto nella corte con i maggiori ingegni del tempo, sviluppò una grande passione per la cultura filosofica e scientifica. Ebbe in comune con il padre un interesse profonda per la scienza e la medicina araba. Ibn Wasil, storico arabo, giunse nel 1261 come ambasciatore alla corte di Manfredi, rimase impressionato da un re che parlava arabo ed ebraico, amante delle scienze matematiche e astronomiche, curioso per ogni forma di sapere; conosceva a memoria i libri di geometria di Euclide e vari trattati di geografia. Ibn Wasil dice pure che a Lucera Manfredi aveva intrapreso “la costruzione di un istituto scientifico perché vi fossero coltivati tutti i rami delle scienze speculative”. Una cultura vasta ottenuta con una straordinaria disciplina, una vita austera e una grande curiosità. Siamo lontani quindi dalla immagine di re festaioli e goderecci. Sapevano invece mettere in pratica gioia di vivere e serenità, senso del ritmo e della bellezza.
Per lui fu realizzata la “magnifica Bibbia” detta di Manfredi, per le sue insistenze Federico II scrisse De arte venandi cum avibus (arte di cacciare con gli uccelli), un vero trattato scientifico, frutto di osservazione diretta della natura, un’opera (completata da Manfredi) che apre la via alla ricerca e alla scienza sperimentale. E poi la scuola siciliana, una esperienza poetica che, proprio con Manfredi, ha tenuto vivo lo scambio culturale tra i letterati italiani e ha posto le basi per lo sviluppo della lingua e letteratura italiana.
Infine la nascita di Manfredonia, che doveva essere il grande porto per l’altra sponda dell’Adriatico e per il Mediterraneo.
Di arte, amore, poesia, scienza nell’età di Manfredi, si parlerà giovedì 19 gennaio 2017 (ore 18,30) a S. Giovanni Rotondo nella sala “Bramante” della BCC (Banca di Credito Cooperativo).