Il saccheggio del Centro storico. Si inizia un’altra storia.
Erano sopraelevati rispetto al castello, i palazzi dei Vischi e dei Cessa, da dove gli archibugieri turchi colpivano con facilità i sipontini assediati. Dopo il Sacco furono rasi al suolo perché avevano offerto un sostegno indiretto agli aggressori. Da allora nessuna fabbrica poteva essere più alta del castello.
Nel 1961 fu costruito a Manfredonia il primo edificio a sei piani. In seguito saranno decine e decine, in tutto il Centro storico, le abnormi sopraelevazioni e gli edifici di sei – sette piani, spesso con la simultanea demolizione di antiche e interessanti palazzine, anche con cortili annessi. Un trend che continuò fino al 1968 e in altre forme negli Settanta. Una distruzione in nome del modernismo che Manfredonia condivide con altre città italiane.
La forma urbana riconoscibile, lo schema originario che si prolungava pur con qualche variazione, è visibile fino a metà anni Settanta. Le fotografie aeree del periodo evidenziano che non ci sono periferie, ma solo un bordo urbano fatto di fichi d’india e di pezzi di campagna nei pressi dell’abitato.
Il Centro storico disegnato da Manfredi, poi ripensato e condotto a termine da Carlo d’Angiò, ha racchiuso fino al 1900 l’intera comunità. Dal XIII secolo i cronisti e i viaggiatori hanno messo in evidenza l’assoluta novità dell’impianto, le strade “larghe, diritte, ben lastricate, pulite”. Due giudizi (riportati da Leonardo Rignanese) fanno capire quello che abbiamo perso. Keppel Craven (1779 – 1851): “La strada di accesso a Manfredonia è ampia, perfettamente diritta, a cui fanno da ala degli edifici molto belli; anzi può gareggiare con qualunque città europea…”. Gregorovius nel 1874 mette in evidenza il paesaggio meridionale, grandioso e selvaggio intorno alla città, che, a parte alcuni palazzi, si compone di “piccole case intonacate di bianco con tetti piani e logge aperte, costruite in stile arabo come le si vede nei golfi di Salerno e Napoli”.
A Roma Pasquino diceva: Quod non fecerunt Barbari, fecerunt Barberini. A Manfredonia tutto è avvenuto tra gli anni Sessanta e Settanta: Insediamento Anic e devastazione del Centro storico, ed è difficile dire che cosa sia stato più grave. C’entrano gli amministratori, i politici, i tecnici, i proprietari dei suoli, i costruttori… Negli anni Sessanta e Settanta un posto in commissione edilizia vale più di un assessorato. Nascono gli studi tecnici a tre: uno iscritto al PCI, uno alla DC, uno al PSI. Un periodo che vede la città crescere, una comunità che coglie positivamente le occasioni offerte per manifestare vitalità e convivialità. Tutti, però, “distratti”.
Perché questa corsa al Centro storico, quando si potevano costruire case moderne fuori delle mura? Perché è stata condotta questa operazione speculativa sostenuta dalla borghesia cittadina? In Piazza del popolo, ad esempio, “alcuni dignitosi palazzetti hanno lasciato il posto ad anonimi condomini di sei piani, che dominano la scena di uno dei luoghi simbolo della città” (D’Ardes). Il Centro storico è il luogo dove ci sono le rappresentanze istituzionali, si concentrano e si celebrano i riti collettivi; è il luogo simbolico di appartenenza e di identità. Questa corsa all’ostentazione ha rovinato lo spazio di tutti, che proprio per questo andava conservato e salvaguardato.
“I sintomi di un malessere: la modernizzazione del centro“, è il capitolo finale dell’ultimo studio sul Centro storico. Un deficit di cultura? Di conoscenze e competenze?… Chissà! Un timore a prendere la parola e a contrastare il pensiero “dominante”? Un deficit quindi di “voce”? Oggi abbiamo nuovi strumenti: libri di fotografie e di analisi sociale, alcuni usciti negli ultimi anni. Gli autori: Leonardo Rignanese, Patrizia Resta, Antonello D’Ardes, Roberto Russo, Michele Di Lauro, Antonio Ferrara…
“Ormai è fatta, che possiamo farci?”- scrive un cittadino. Qualcosa possiamo fare: leggere, passeggiare per la città e sognare. Sogniamo in silenzio la città che poteva essere: la cinta muraria, l’espansione che risponde in maniera originale al disegno originario, la stessa varietà dei suoli (canaloni e cave) avrebbe potuto introdurre elementi positivi di diversità e consentire uno sviluppo urbanistico di grande originalità. Sogniamo ricuciture urbane, con la partecipazione dei residenti e l’ausilio di una architettura del rammendo, “umile e gentile”.