Molte culle sono vuote. E’ solo colpa della crisi?
Ogni anno, ma a volte la frequenza è stata trimestrale, istituti diversi, nazionali e internazionali, per aree geografiche ristrette e per singoli settori, hanno fornito e forniscono analisi e statistiche, spesso contraddittorie e parziali. Una cosa è certa: questi lunghi anni di crisi lasceranno tanti segni e mutamenti.
Si registra nel Sud una forte riduzione degli investimenti, una diminuita capacità industriale (qualcuno ha parlato di desertificazione), una emigrazione massiccia di giovani, un depauperamento di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie. E soprattutto una diminuzione netta della natalità, anche rispetto al Centro e al Nord. Questo è il dato più preoccupante. Se non ci saranno cambiamenti si prevede, nell’arco di qualche decennio, una progressiva e inarrestabile diminuzione della popolazione italiana (molto più marcata nel meridione).
Vi è sempre stata una connessione tra natalità e benessere economico. Un lavoro stabile permette di fare scelte che impegnano per il futuro. Ora ci si sposa di meno, ma non si convive di più, si resta più a lungo con i genitori; spie di una generale difficoltà a iniziare un percorso di autonomia. Calano i matrimoni e si fermano anche le separazioni, che hanno creato una nuova categoria di poveri. Vicende dolorose legate alla casa, al mutuo, alla rinegoziazione degli assegni. Le separazioni calano, ma non perché la famiglia si ricompatta o vi è una maggiore concordia; si cerca di nascondere le conflittualità. La famiglia non è più una ma tante, ne sanno qualcosa le scuole. E a questo pilastro fragile, oggi, con la crisi, si chiede di più: di essere la protezione e di reggere il peso della cura e di rivedere i ruoli interni. Un nuovo progetto di vita, dicono molti operatori dei servizi, senza indicare in quali forme e su cosa poggiarlo. La crisi ha fatto saltare soprattutto le coppie giovani e ha scavato crepe non facilmente colmabili nel ruolo degli uomini, anche per la perdita del lavoro.
Un dato chiaro nel Sud e nel territorio è che la crisi, nel comparto edilizio e nel Contratto d’area, ha mandato a casa gli uomini e ha conservato qualche opportunità alle donne. Solo a livello sociale nell’Ambito di Manfredonia sono state create occasioni di lavoro per 140 – 150 persone prevalentemente donne. Badanti, lavori part time e precari. Una occupazione che prima era integrativa, ora è invece essenziale. La donna è capofamiglia e somma spesso due mezzi lavori. Nuovo peso e ruolo per le donne, con i mariti a casa (che si occupano di piccoli lavoretti, campagna, giardino, internet). A prendere i figli a scuola sono sempre più spesso i padri, che con i figli devono giustificare il loro stare senza far niente. Sarà il tempo a dire che cosa significherà questo cambiamento.
Tutto qui? E’ sufficiente il lavoro atipico delle donne e le migrazioni dei giovani a spiegare la bassa natalità in Italia e nel Sud? Le ragioni che le donne italiane fanno meno figli delle donne inglesi e francesi sono molteplici: economiche, familiari (non esistono più le famiglie di una volta), sociali (mancano servizi flessibili). E se a non fare figli sono anche coloro che hanno una occupazione stabile, un reddito garantito? C’è un materialismo diffuso che mette tutto in relazione ai soldi. Non è sempre così. C’è sicuramente la difficile conciliazione occupazione e vita familiare, i servizi per l’infanzia assicurano una certa flessibilità e “tengono” il figlio mentre la donna lavora. Se poi una mamma chiedesse di tenere il figlio perché vuole avere un po’ di tempo per sé? Se si facesse una indagine sulla paternità e se proprio da questa metà del cielo venissero non resistenze ma forme sottili di inaffidabilità? Non tutto può essere pensato all’interno della vita famigliare. Sempre più irrompe un mondo esterno carico di conflitti e di paure. E se fosse l’immagine di futuro del Sud, quello delle nostre città, del nostro vivere civile a creare apprensione?