L’eucalyptus è fascista. E nessuno lo difende

CULTURA

Gli eucalipti si incontrano in tutte le aree interessate alla bonifica del fascismo, dal Tavoliere, alla Sardegna, all’Agro pontino… Ogni eucaliptus che si vede in giro, “è un segno permanente del fascismo e dell’Era fascista. Dopo la caduta del regime si abbatterono tutti i fasci delle torri littorie e le immagini del Duce. Ma per un’azione più efficace bisognava estirpare ogni eucalyptus” (A. Pennacchi).

Proviene dall’Australia e furono i fascisti a portarlo in Italia e a piantarlo nelle aree da bonificare perché “beve” acqua come una spugna e tiene lontano le zanzare. Sul primo punto va bene, sul secondo è vero indirettamente, perché assorbe l’acqua stagnante e di conseguenza impedisce alla zanzara di proliferare. Di acqua ne assorbe tanta e le radici si estendono a livello superficiale per un raggio di decine di metri, dove non crescono altre piante. Vicino a canali e acquitrini, in 4 anni arriva a 6 metri di altezza. Il Tavoliere era una steppa desolata fino ai primi decenni del Novecento, senza un albero, segnato dalla più alta percentuale in Italia di morti per malaria e centinaia erano coloro colpiti dall’insolazione. Nel giugno del 1862 una marcia di soldati da Manfredonia a Foggia si concluse tragicamente con diversi soldati deceduti per il caldo e altri salvati perché dal capoluogo arrivarono i soccorsi. Sul percorso non trovarono un albero, un riparo, un pozzo…  Nel Tavoliere quando arrivò fu una grazia di Dio. Il legno non vale niente, almeno di quella specie importata in Italia. Si secca subito e si spacca. Nemmeno per ardere è buono, brucia velocemente, una sola fiammata. Ha funzionato come fascia frangivento, lo si trova ancora in certi tratti verso Beccarini, Fonterosa, Borgo Mezzanone. Il vento, il favonio, quello caldo che “cuoce” le piante di pomodori e di meloni o quello umido dal mare, non aveva modo di rinforzarsi. E se arrivava a 50 – 60 chilometri orari la fascia di frangivento riusciva a ridurlo a meno di 20 e impediva il formarsi di mulinelli o piccole trombe d’aria. Gli eucalipti ci sono perché riescono a resistere. Ma non vi è cura. Si bruciano le stoppie e non si fa alcuna protezione. Bruciano anch’essi, ma spesso “ricacciano” e in un anno rinascono rigogliosi. Non è amato e vi è chi per distruggerlo fa dei fori, ci mette la nafta o l’acido, o lo estirpa con il trattore. Si preferisce il pino, il salice piangente. A Siponto è stato scacciato persino dalla pineta, che si allunga verso il Candelaro. Nell’Agro pontino, una volta sciolta l’Opera nazionale combattenti e passate le competenze all’Ufficio agricoltura della Regione, sono state eliminate le fasce frangivento e le aree di terreno vendute ai confinanti.

E’ una pianta che ha aiutato la bonifica e ha dato sollievo e ombra. Un immenso ventaglio naturale che si muove a ogni soffio di vento. Un vecchio contadino mi disse molti anni fa, seduto all’ombra di un eucalyptus: “Si sta da re qui sotto. Proprio come quegli sceicchi africani che avevano tanti servi a fare vento con le palme. Tu non sai come si viveva quando non c’era un filo d’ombra. Quanti bambini, portati per necessità dalle mamme – spigolatrici in campagna, riparati con qualche straccio, morivano o perdevano la vista per un colpo di sole!”.

Qualcuno propose tempo fa di costruire un monumento alla fava (proprio al legume ricco di proteine vegetali) perché aveva salvato dalla fame in inverni molto rigidi migliaia di persone sul Gargano. Nessun monumento per gli eucalipti, solo un po’ di conoscenza della storia.

Gli eucalypti costeggiavano le strade dei borghi o delle città del duce: una specie di ingresso trionfale verso Segezia, Borgo Giardinetto, Borgo Cervaro…  Nuove fondazioni di un grande disegno di Bonifica integrale che non si è realizzato.

Se ne parlerà sabato 20 agosto al museo etnografico a Siponto.

 

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