Le parole di papa Francesco e le parole della sinistra. Così vicine e così lontane.

CULTURA

C’è una empatia tra questo Papa e i non credenti. Laici, persone di sinistra o almeno coloro che lo sono stati, in questi tempi di sbandamento, ascoltandolo, provano un senso di soddisfazione, pensando che non tutto è perduto. Suscita meraviglia e sorpresa, contentezza e malinconia. C’è comunque un legame profondo. Vi è la sensazione che si può percorrere un tratto di storia assieme. Poi c’è chi si ferma e chi va oltre (il credente).

Incontrando i disoccupati, il Papa abbraccia uno di loro e dice: “Signore Gesù dacci il lavoro e insegnaci a lottare per ottenerlo”. “Lotta” è una parola politica, di sinistra. Quante discussioni, nell’elaborazione di documenti unitari a scuola o a livello sindacale, vi erano con chi chiedeva di togliere quella parola. Perché troppo di sinistra. Chi non ricorda il movimento e il giornale “Lotta continua”? Un sacerdote a Monte S. Angelo di grande carisma, rivolgendosi in un precetto pasquale ai giovani studenti (molti simpatizzanti di quel movimento), disse: “pure Cristo era un lottatore continuo”.

Venerdì santo è stata la volta di un’altra parola: vergogna. Parola usata in modo strumentale e offensivo nella polemica politica. Il Papa la usa per ricordare indignato il sangue innocente delle vittime del mare. O la parola speculazione: “Si specula su tutto, sui poveri, sui migranti, sui giovani, sul loro futuro…” O ancora la parola potere, quando denuncia “il potere del denaro, del consumismo…”.

Ci sono poi discorsi  più ampi, come quello di fine aprile di questo anno, in cui rivolge un pressante invito all’impegno, a sporcarsi le mani: “Fate politica, quella in grande, quella con la P maiuscola”. Ci tiene a inserirsi in un percorso che viene da lontano: “Un cattolico deve e può fare politica. Paolo VI ha detto che la politica è una delle forme più alte della carità, perché crea il bene comune…”

Da quanto tempo la Sinistra non parla di disagio, di sofferenza sociale, di uguaglianza? E se lo fa, non si cancella mai del tutto l’impressione che dietro ci sia un calcolo politico, un modo per recuperare consenso. Invece questo Papa spiazza perché fa richiami continui, normali, semplici. Normalmente le cose più significative le dice quando ferma la lettura, alza lo sguardo e scandisce delle parole apparentemente al di fuori del contesto. Parole che acquistano rilievo perché sono inserite all’interno del discorso sulla misericordia, che racchiude una famiglia di parole: cura, empatia, abbraccio, consolazione, rispetto.

Papa Francesco sposta la concezione del peccato: dalla sfera privata a quella pubblica. E’ un modo nuovo di vedere il mondo, senza perdere la coerenza teologica. Da un lato dice: “Chi sono io per giudicare un gay o un divorziato…?”. Poi, come qualche giorno fa: “Lo sfruttamento sul lavoro è peccato mortale”. E ancora “Chi accumula ricchezza con sfruttamento e lavoro nero è un sanguisuga”. Sembra quasi di ascoltare i polemisti socialisti dell’ottocento! Male profondo è per lui l’indifferenza: “Ogni giorno si deve operare la scelta: samaritani o indifferenti viaggiatori che si tengono alla larga”.

Nella Passione, “le due Marie” assistono alla sepoltura e ripercorrono le strade di Gerusalemme con l’angoscia nel cuore, non accettando che tutto sia finito. Il Papa invita a vedere nei loro volti quelli “di tanti che, camminando nella città, sentono il dolore della miseria, dello sfruttamento, del disprezzo… vedono l’egoismo che crocifigge le speranze, la corruzione che infrange diritti e aspirazioni”. Bergoglio avverte anche il rischio che a questo mondo si può fare l’abitudine, pensando che “ è la legge della vita”, e invita a reagire al sepolcro, alle umiliazioni, alla “dignità crocifissa“, una immagine quest’ultima che non si dimentica.

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